1990
Come un bel giorno
La caduta del muro di Berlino era appena avvenuta e i Paesi dell’Est europeo si apprestavano, per la prima volta dopo un lungo regime, ad affacciarsi sull’Occidente libero. La fine dei regimi totalitari chiudeva anticipatamente il Novecento sollevando tra le comunità universitarie di Comunione e Liberazione una forte domanda sul senso della storia e del destino. La Chiesa, secondo le parole del giornalista Andrea Emo in un articolo apparso su La Repubblica, dopo essere stata protagonista della storia per molti anni, assunta poi la parte non meno gloriosa di antagonista, era divenuta in quegli anni più simile a una cortigiana. Questa provocazione aveva dato il via a un forte dibattito sia in un’università sia nelle assemblee di Scuola di comunità, fino a divenire il punto iniziale dell’Equipe. L’essere cortigiani è vivere la storia senza apporto creativo, senza il senso dello scopo del tutto. La Chiesa, seppur nel tradimento, non può essere la cortigiana della storia, perché è strutturalmente coscienza dell’amore a Cristo. Al centro di una Chiesa così vissuta sta il soggetto che si lascia afferrare da Cristo, il quale, come nel «bel giorno» di Camus, all’improvviso è capace di toccare la vita di ciascuno e “incollare” insieme la sabbia del presente, delle circostanze presenti alla luce di una verità nuova. Il soggetto così formato è lanciato in una continua ricerca dello scopo del tutto, dalla preghiera mattutina al lavoro della giornata. La normalità del quotidiano, da fatica senza senso, diventa perciò il luogo dell’amore a Dio e agli uomini, poiché se è chiaro il senso di ogni singolo istante, non c’è più nulla di piccolo, cioè inutile, che non porti al grande amore. Quando la vita è vissuta nel suo scopo, Cristo, ogni gesto diventa testimonianza della Sua Presenza fino al martirio, che è lucentezza e intensità d’amore nell’affermazione del vero. Il centro di tutto è quindi la persona che però, per paura o per disattenzione, può rispondere alle sollecitazioni della realtà reattivamente o rifugiarsi in una specie d’intimismo religioso. Di fronte a questa duplice riduzione, l’unica possibilità di ripartenza è il riconoscimento che c’è qualcosa che viene prima del soggetto, una Realtà a cui tutto appartiene e verso la quale tutto si orienta. È per questo motivo che quanto più i tempi si fanno duri, tanto più è il soggetto che conta, è la persona che conta, poiché è l’unica che può affermare il «ciò che viene prima». Cristo è diventato incontrabile all’interno di una compagnia di persone, nella quale non è possibile ridurre la novità portata dalla Sua presenza. La compagnia ha come caratteristica fondamentale l’essere guidata. La sequela è pertanto la prerogativa affinché ciò che “viene prima” non sia ridotto a immaginazione del singolo. L’humus di una tale compagnia è la Scuola di comunità, che si configura come strada perché la ragione possa farsi sempre più grande e cosciente. Al fondo di questo percorso (ciò che viene prima, la compagnia, la Scuola di comunità) nasce la passione missionaria che muove ogni individuo a creare opere, vale a dire realtà effimere che incarnano l’eterno.
L’inesorabile presenza
Il 1990 fu anche l’anno della “Pantera”, un fenomeno che ebbe molta risonanza sui mass-media, ma che fu ben poca cosa nella realtà. Per qualche mese si era tornati a respirare un’aria simile a quella del ’68, dove alcuni gruppi di studenti universitari, vicini all’esperienza dei centri sociali, organizzavano manifestazioni di protesta pur non arrivando mai a una vera e propria azione violenta. In questa situazione gli universitari del CLU s’interrogarono a fondo su che cosa significasse essere una presenza in università. Tale domanda era sostenuta da un nuovo impegno più consapevole negli organi di governo attraverso i Cattolici Popolari, nella gestione della CUSL, nell’aiuto allo studio. Le scoperte suscitate da questa intensità di vita non si fecero aspettare e una nuova definizione di libertà, intesa come riscoperta e amore della ragione, diventò il cardine di tutta l’attività svolta negli Atenei. Per molti questa posizione era documentata da una stanchezza che finalmente non presentava più alcun tipo d’ombra o dubbio su ciò che si stava facendo, ma che solo richiedeva un riposo fisico per le energie spese nelle iniziative promosse. Un tipo di stanchezza che nasceva da un impegno reale carico di ragioni, di chi avesse servito con grande amore la verità. In contemporanea iniziò anche il lavoro sul Volantone di Pasqua che fu il reale motore della presenza in università. Il Volantone riproponeva la Presenza di Cristo come nodo cardine della vita, intesa non come un insieme di nozioni morali, ma piuttosto come una presenza reale e inesorabile, capace di muovere l’uomo nella vita di tutti i giorni. La Sua Presenza qui e ora – era stato più volte ripetuto – è la sola in grado di far muovere l’uomo. Questo è in sintesi il messaggio cristiano autentico: Cristo si è fatto carne, ha preso un tempo e uno spazio, identificandosi con una realtà fisica presente. La Sua presenza trova quindi il culmine nell’Eucarestia, che è resa visibile e tangibile dalla compagnia cristiana. La compagnia ha pertanto come valore più grande quello di essere segno di Cristo. La condizione perché ognuno riconosca nella compagnia la persona di Cristo è la domanda che la Sua presenza si manifesti, si renda sicura. È impossibile pensare alla compagnia senza che ci sia un «brivido di preghiera». In sintesi, è la verginità la reale posizione perché l’uomo guardando la compagnia riconosca Cristo. La verginità è, infatti, il rapporto con la realtà che non rompe il nesso con la totalità del significato; questo è reso possibile, di nuovo, solo da una preghiera autentica. I frutti che ne nascono sono due: l’esaltazione della normalità e la missione. Se investita del Suo sguardo la normalità diventa improvvisamente densa e tesa secondo la sua verità, cioè essere rapporto con l’infinito, rapporto con quella Presenza. Ciò è sostenuto, come abbiamo visto prima, dalla normalità dei momenti di preghiera che, insieme ai sacramenti, puntellano la coscienza nel quotidiano. Così la commozione per la Sua Presenza diventa commozione di tutta la vita e illumina, intenerisce e abbellisce il tenore di ogni singolo istante. Le conseguenze magnifiche che ne nascono sono il rispetto per la cosa che si sta facendo, la lealtà con l’opera concreta, la tenacia nel perseguirne il fine. Da questa normalità vissuta nella compagnia di Cristo nasce la missione, definita come emozione per la bellezza del vero e la sicurezza del destino. Così un uomo si alza al mattino, vive la famiglia, il suo ambiente di lavoro e le provocazioni che la vita sociale realizza, entrando sicuro perché radicato nella grande Presenza di Cristo, chiedendo che quella stessa vita si realizzi negli amici e in tutto il mondo.
La sottile lama della libertà
Gli Happening organizzati in molte città italiane dagli universitari riuscivano a radunare migliaia di persone, coinvolgendole in appassionanti dibattiti, mostre e spettacoli. La presenza pubblica del CLU era ormai un fenomeno consistente e socialmente rilevante. Tale apertura stava coinvolgendo anche i Paesi dall’altra parte della cortina di ferro che, mossi da fremiti di libertà e verità, iniziavano ad aprirsi all’esperienza di Comunione e Liberazione, grazie anche ai tanti rapporti intessuti negli anni della clandestinità. Si tenne così in Polonia la prima vacanza del CLU dell’Est, nella quale parteciparono polacchi, ungheresi, cecoslovacchi, insieme a un gruppetto d’italiani. Di nuovo, una delle sfide più grandi in questa novità di vita era legata al significato della parola presenza. Innanzitutto Giussani richiamò alla necessità di «sfondare e sfrondare» il concetto di presenza da tutte le attività nate all’interno della comunità. Il vero centro della presenza è infatti solo ed esclusivamente la persona, l’io di ognuno. La persona è l’attore, la protagonista della fede iniziata col Battesimo. La caratteristica di questa personalità nuova parte dalla domanda essenziale “cosa voglio?”, la cui risposta coincide con la strada di conoscenza di Cristo. La vita andrebbe inevitabilmente incontro alla contraddizione della morte e del proprio male al di fuori del progetto di Dio sul mondo rivelato da Cristo. Tale progetto afferma, infatti, che la sofferenza è “in funzione di” una perfezione, di una libertà, nella quale avviene la redenzione del nostro corpo e dell’animo. Fattore caratteristico della vita del cristiano è pertanto la coscienza di essere salvato. Altre caratteristiche di una personalità nuova sono la letizia e la fiducia, che nascono dalla coscienza che la realtà più profonda del lavoro, del rapporto affettivo, della vita in generale, non è l’attaccamento a ciò che si ha, ma alla verità di quello che si ha. Le alternative sono quindi due: o una solitudine distruttiva dovuta al proprio tentativo di possesso, o questa positività emergente e costruttiva. La scelta della seconda non può avvenire se non dentro a una compagnia vocazionale, capace di sostenere il singolo nello strappo dall’esteriorità delle cose, dal possesso istintivo, per affermarne la verità. Così l’unica strada perché nasca una nuova personalità è la sequela. Proprio da qui nasce un’altra caratteristica dell’uomo nuovo che è la pace. La pace è la giustizia del rapporto con la ragazza, con gli amici, col lavoro e, più in generale, con le cose. Ma tutto ciò non sarebbe possibile senza l’iniziativa di Cristo: «Il cristianesimo – dice Wittgenstein – non è una dottrina, non è una teoria di ciò che è stato e di ciò che sarà dell’anima umana, bensì una descrizione di un evento reale nella vita dell’uomo». Riconoscere Cristo, aderire a Lui, crea la personalità nuova capace di perdonare poiché il male non definisce più il progetto che l’uomo ha. Ciò implica un’inevitabile positività della vita, al di fuori della quale c’è solo la distrazione che il mondo propone. Inizia pertanto una lotta tra il senso e il non senso, tra l’appartenere al Signore o al mondo del nulla e della menzogna. In mezzo a queste due posizioni c’è la «lama d’acciaio» della libertà, che può dire sì o no. Il primo esito di questa lotta è la consapevolezza che l’Essere è più grande di ogni debolezza. L’affermazione conclusiva della Bibbia «Vieni, Signore!» esprime questa consapevolezza come accettazione che Dio è più forte di tutto e che la risposta al male dell’uomo è la misericordia. Nella vita dell’uomo avviene il riscatto di Dio mediante Cristo. Questo genera tre implicazioni: la prima è che il modo di sentire se stessi coincide con il Tu di Dio creatore; la seconda è la nascita di una compagnia, e perciò di un’amicizia, che afferma il destino dell’altro; la terza è il perdono verso tutta la miseria propria e degli altri uomini.
1991
L’avverarsi della vita tra di noi
Il ’91 fu l’anno dalla guerra in Iraq, primo grande conflitto con potenze occidentali dopo la Seconda Guerra Mondiale. A nulla valsero i messaggi personali di papa Giovanni Paolo II per scongiurare tale scontro. Tutta la comunità di CL prese posizione con un volantino pubblico nel quale veniva affermato che la pace vera non era solo deporre le armi, ma richiedeva il prendere parte alla storia scaturita dall’Avvenimento di Cristo. Tra gli universitari del CLU intanto continuava l’apertura verso comunità nuove, nelle quali l’interesse per il cristianesimo era sempre più vivace. Nell’assemblea di apertura dell’equipe Giussani insistette molto sulla natura dell’avvenimento cristiano come fatto oggettivo, reale, capace di operare un cambiamento nell’uomo che lo accoglie. Un cambiamento di questo tipo è, infatti, la condizione imprescindibile per il cambiamento di tutto il mondo. Così è anche per la compagnia, che trova la sua origine in qualcosa che “viene prima” da sé, dalla presenza di Cristo, che rilancia tutti coloro che ne sono toccati verso la ricerca di un comune destino. Le due conseguenze mirabili che ne derivano sono una passione per l’esistenza quotidiana e per la missione. L’attenzione per la pena di un altro uomo è il segno dell’incontro che ha vinto la confusione e la solitudine della vita riempiendola di gioia. Da una vita così cambiata nasce la ricchezza di una parola, di un discorso, che altrimenti sarebbe menzogna, privo del giudizio che nell’esperienza trae la sua forza. Un’altra caratteristica della vita cambiata da Cristo è il rapporto con la realtà, vissuto non più come possesso, ma come gratuità: proprio perché tutto è grazia, dono di Dio e non creazione dell’uomo, non si può che guardarlo come non-proprio, come dato da un Altro. Dal possesso vissuto come grazia nasce la letizia che contraddistingue coloro che vivono la certezza della felicità, dell’Eterno, e attraverso la quale è possibile generare le opere cristiane. Tutto ciò ha un’origine ben precisa ed è il Battesimo, cioè Dio fatto carne che afferra la carne dell’uomo. È in questo inizio la radice del cambiamento di ogni persona, cambiamento che richiede la tenacia della fedeltà e il tempo vissuto come pazienza.
La fisicità dell’avvenimento
Per l’accavallarsi degli impegni, l’equipe, prevista prima dell’estate, fu sostituita da un centro del CLU allargato. I testi di Giussani erano sempre più utilizzati nelle Scuole di comunità, e ciò dava grande vivacità ai dibattiti, sia all’interno dei gruppi, sia in grandi gesti pubblici. L’apertura a un numero sempre maggiore di studenti era diventata la caratteristica della vita delle varie comunità nelle università. Anche le elezioni avvenute in molti Atenei avevano offerto ulteriori spunti di riflessione a riguardo della fede incontrata e sulla possibilità di poterla comunicare al mondo circostante. La prima assemblea si tenne dopo Pasqua e il Volantone di quell’anno fu il filo conduttore dei lavori. Il fulcro dell’assemblea fu il tentativo di ridefinire le caratteristiche dell’avvenimento cristiano. Primo aspetto che definisce il cristianesimo è la «fisicità dell’avvenimento»: qualcosa di incontrabile, sperimentabile. La presenza di Cristo è reale e fisica. L’unico atteggiamento che può bloccare il riconoscimento del Mistero fatto carne è la paura di lasciarsi afferrare, paura che può bloccare il soggetto, ma che non ha alcun motivo di esistere. Tutta la vita deve, infatti, essere vissuta nella memoria di Cristo e questa è una fatica che può essere vinta solo dall’uomo che decide di appartenere. L’appartenenza è anche il paradosso più grande agli occhi del mondo, in quanto appartiene solo chi afferma come cosa più importante Qualcosa d’altro da sé. Il luogo di tale appartenenza è la Scuola di comunità, strumento indispensabile per «risalire internamente l’avvenimento», cioè per costatare sempre di più che il fatto di Cristo è una realtà fisicamente incontrabile. La memoria dell’avvenimento coincide esattamente con questa risalita. Tale lavoro presenta almeno tre motivi che lo rendono desiderabile: innanzitutto, perché l’interesse supremo dell’uomo è la verità e Dio è la verità della vita; in secondo luogo, perché ogni passo in questa strada è fonte di sorpresa e felicità; infine, perché la vita così vissuta produce l’unico fiore della pianta dell’esistenza, cioè la missione. La missione significa soprattutto comunicare all’altro le ragioni dell’esperienza stessa della propria conversione e questo fa risalire dall’interno all’Avvenimento incontrato. La vera fatica è perciò la memoria, unica via per incrementare sia la coscienza di se stessi sia la letizia, o felicità, per la quale la vita è fatta.
La traversata della vita
Il raduno estivo del ’91 fu la prima Equipe internazionale per gli studenti del CLU. La partecipazione da così tante terre differenti diede un grande respiro a tutto il lavoro di quei giorni. Il Volantone di Pasqua, come il testo dell’Equipe dell’anno precedente, fu ancora uno degli spunti di maggior confronto. L’input iniziale fu però la frase scelta per la vacanza estiva e stampata sulle magliette della comunità americana: «Dalla natura scaturisce il terrore della morte, dalla grazia scaturisce l’audacia» (san Tommaso d’Aquino). L’audacia implica prima di tutto l’affermazione di uno scopo, il quale si trova, secondo un’immagine evangelica, sull’«altra riva del lago», cioè altrove rispetto all’uomo che lo cerca. L’audacia è perciò l’impeto energico ben rappresentato dalla formella della Navigazione del Pisano, di un uomo che si mette in viaggio. Questo cammino necessario al raggiungimento dello scopo, è certamente più semplice se vissuto insieme a una compagnia. La compagnia però non può sostituire il rischio che ognuno deve correre per aderire all’esistenza come “movimento verso” una risposta presente. L’alternativa a questo rischio è il tagliarsi la testa o lo strapparsi il cuore. C’è però una tentazione nell’intraprendere questo viaggio ed è quella di volerne misurare la durata e lo sforzo richiesto. In tal senso una frase di Giovanni Calzone, un giovane di Napoli morto poco prima dell’Equipe, sintetizza il carattere del viaggio per il quale «chi calcola le cose non sei tu». Ma perché iniziare questo viaggio? Giussani articola la risposta in quattro punti. Primo: la decisione avviene per un fatto accaduto, cioè la Presenza che ha preso forma nella compagnia. Secondo: la direzione del viaggio è verso l’“altra riva”, ciò significa che non si appartiene a quello che si ha, a quello che si vede o che si crede essere, ma che è necessario dirigersi verso la grande Presenza da cui siamo nati e in cui viviamo. Terzo: dal momento che l’uomo non può che partire da un presente, la grande Presenza si è resa tale. Quarto: è l’incarnazione che scatena la lotta nel mondo. Ciò che impedisce questo lavoro è solo la paura, il «fiato del nulla» da cui si è stati tratti, che si traduce nell’esaltazione delle piccolezze e delle meschinità. La paura si origina da quel pensiero nascosto, ma sempre presente, che porta al dubbio che la Presenza incontrata sia reale. A questa paura risponde la positività della realtà che persiste – le cose continuano ad esserci –, così come l’imponenza delle esigenze personali. La compagnia si preannuncia come antidoto alla paura, poiché la compagnia in cui Cristo si rende presente è anch’essa una presenza irriducibile. La compagnia è perciò l’albore dell’altra riva e l’uomo può solo appartenerGli. In questo modo nasce un uomo nuovo, la cui identità è definita dalla parola “miracolo”: una realtà umana vissuta quotidianamente, senza enfasi eccezionali, senza necessità di eccezioni, però tutta investita dalla coscienza di una Presenza. Non è possibile la percezione del mistero di Cristo senza la concretezza della realtà, senza la compagnia. Il cambiamento ha perciò la sola esigenza del tempo e della fedeltà a un luogo ben preciso. Nella seconda lezione il focus ritorna ad essere il testo del Volantone di Pasqua, dove il mondo attuale, sulla scorta di quanto osserva Peguy, viene definito come «incristiano», vale a dire un mondo nel quale non c’è più spazio per il cristianesimo, che non vuole più il cristianesimo. Il segno peggiore di questo rifiuto è che le miserie dell’uomo non sono più riconosciute come segno del peccato originale, che la società e la cultura moderna hanno tentato di cancellare. In questo modo l’uomo non si percepisce più di fronte al suo destino, poiché le sue miserie non sono più concepite come negazione di Dio. Le strade che si spalancano di fronte a questa dimenticanza sono pertanto il nichilismo di chi dice che non vale la pena nulla e che tutto in fondo è uguale, e la presunzione di chi vorrebbe sostituire il rapporto con Dio con altro. Chi invece non rompe questo legame con Cristo, vede le proprie miserie come richiamo allo sguardo amoroso di una Presenza, unica capace di muovere al riconoscimento che si è peccatori. È l’esistenza del perdono lo spartiacque tra la miseria cristiana e quella non cristianamente vissuta. Tutto questo è però possibile perché, come sottolineato da Peguy, «Gesù venne» e tagliò corto «facendo il cristianesimo». La fonte di pietà si è perciò fatta carne e ha stabilito con l’uomo un legame, questo è il cristianesimo. Dire di sì a questo legame si chiama «decisione per l’esistenza». In questo modo la giornata diventa una vera lotta, un vero dramma, nel quale la percezione della propria inadeguatezza e incapacità è il bisogno che Cristo, che non è inadeguato, “gestisca” il destino della persona. Cristo ha portato nel mondo la purezza impossibile all’uomo, per ottenere la quale è necessario lavorare con fiducia, senza attardarsi in un problematicismo critico e dubitoso. Concludendo, la vita dell’uomo è un’unica grande preghiera, come dice l’Orazione della XX domenica del tempo ordinario: «Ti preghiamo, Signore, perché amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio».