Lo scopo di questo studio – il cui campo è al confine tra filosofia e teologia – è quello di ricostruire in un profilo storico la più seria e culturalmente significativa espressione teologica della vita spirituale del protestantesimo americano, fenomeno che non ha avuto molto spazio nelle ricerche in Italia.
Il fattore religioso ha avuto un’importanza decisiva nella formazione degli Stati Uniti: molte delle colonie protestanti d’America si sono, infatti, formate per ospitare i perseguitati a motivo della fede. Fin dal XVII secolo vi si trovano dunque anglicani e luterani, anche se il tipo di protestantesimo che divenne determinante per la cultura americana fu il calvinismo.
A partire dal New England (Massachusetts, Plymouth, New Haven, Connecticut), luogo scelto dai primi emigrati, si diffuse una forma mitigata di calvinismo, derivante dalla tradizione dell’Inghilterra centro-orientale. Alla concezione di Dio che predestina in modo assoluto fuori dal tempo gli uni alla gloria, gli altri alla dannazione, senza considerazione alcuna dell’umano agire, sostituiva l’idea di un duplice «patto»: nel primo l’uomo avrebbe potuto raggiungere la vita eterna attraverso opere di obbedienza; rotto questo patto da Adamo, Dio avrebbe concesso un secondo tipo di patto, nel quale avrebbe salvato l’uomo per pura sua Grazia, attraverso la Fede.
Nei gruppi trasmigrati in America alla metà del Seicento, poiché non allineati con le dottrine ufficiali inglesi, si sviluppò una vivace vita intellettuale che contribuì in modo significativo alla formazione della teologia americana. Si pensi a personaggi come Thomas Shepard (1605-1649) o a John Cotton (1584-1652). Negli scritti di quest’ultimo dominava l’idea che Dio avesse ispirato direttamente la trasmigrazione verso una nuova terra dell’alleanza tra Dio e il popolo.
L’ecclesiologia di questi gruppi, denominata «congregazionalista» o «indipendente», vedeva la Chiesa come una comunità di eletti, in cui gli anziani (Elders) hanno il potere e la responsabilità della guida. La Chiesa e lo Stato sono due istituzioni separate e concomitanti: hanno lo stesso autore, Dio, l’uomo come soggetto comune, la gloria di Dio come scopo. Secondo un ideale teocratico solo i membri della Chiesa sono cittadini dello Stato a pieno diritto. Gli argomenti elaborati in questo ambito, soprattutto da John Wise (1652-1725), prepararono e sostennero una mentalità che avrebbe trovato rivendicazione, un secolo e mezzo più tardi, nella Guerra d’Indipendenza (1775-1783).
La nota dominante dei teologi del New England è un atteggiamento pragmatico, che considera la teologia come una disciplina pratica e non speculativa e che conferisce grande importanza all’esperienza diretta: lo «spirito» è l’origine ispiratrice e il criterio di riferimento del vero credente e le opere buone sono il «segno» dell’elezione.
Pur nella unitarietà del movimento puritano, si registrano alcune varianti: mentre Cotton sosteneva l’assolutezza dell’iniziativa di Dio sull’eletto, altri affermavano che la gratuità divina fosse in qualche modo legata alla risposta o al comportamento umano; tra questi si ricorda Richard Sibbes (1577-1635), che sosteneva che «benché la Grazia di Dio faccia tutto, noi dobbiamo dare il nostro consenso».
La seconda generazione puritana – intellettualmente meno luminosa della prima, che si era formata nelle università inglesi di Oxford e di Cambridge – ebbe come luogo di riferimento il «College» di Harvard, fondato nel 1636. Gli autori più influenti della seconda generazione furono Increase Mather (1639-1723) e Cotton Mather (1663-1728), che svolsero un ruolo conservatore, e Solomon Stoddart (1643-1729), che seguì una tendenza più liberalizzante. Dal punto di vista ecclesiologico, vi furono movimenti contrari all’impostazione congregazionalista a favore dell’autonomia della singola chiesa.
Il periodo a cavallo tra XVII e XVIII secolo vide minacciato, nella dottrina e nella prassi, il rigido concetto calvinista dell’assoluto dominio di Dio e della sua incondizionata iniziativa. Un nuovo problema si poneva: il minor fervore religioso rendeva meno evidenti le “conferme” dell’elezione divina, che davano pieno diritto a entrare nella comunità dei fedeli. Si affermò così l’idea che lo Spirito poteva agire anche non direttamente, ma attraverso alcuni mezzi come la lettura delle Scritture, la preghiera ecc.
Grande importanza ebbe la diffusione delle opere dell’olandese Jacobus Arminius (1560-1609), che sviluppò un pensiero in reazione alla rigidezza calvinista. Egli sosteneva, tra l’altro, che la salvezza non può prescindere dalla libertà umana e che la Grazia divina non è irresistibile. La dottrina di Arminio fu adottata dagli anglicani nel XVIII secolo e trovò molti sostenitori anche in America: tra questi Samuel Johnson (1696-1772), che enfatizzò la capacità dell’umana libertà di fronte al suo destino. Si tratta del segno iniziale del passaggio dal dominio del pensiero puritano all’intervento del razionalismo illuministico che finì per avere la meglio nella cultura americana.
Già dagli anni Venti del Settecento vi fu, d’altra parte, un fenomeno denominato «Grande Risveglio», caratterizzato da una rinascita religiosa. Una personalità di primo piano, che ben descrive questo fenomeno e lo supera, è quella di Jonathan Edwards (1703-1758). Edwards si pose come il difensore dell’assolutezza della sovranità divina contro tutte le correnti liberalizzanti che il diminuito impegno religioso favoriva. Egli sosteneva, tra l’altro, il primato dell’esperienza diretta, in cui era evidente l’unità profonda tra corpo e mente. La prova della verità del cristianesimo era da ricercare nell’esperienza, che eccedeva per intensità e per contenuti l’esperienza naturale. Inoltre egli era convinto dell’assenza di differenza tra conoscenza naturale e soprannaturale, ovvero dell’assenza di continuità tra natura e grazia. Per riaffermare l’assolutezza della sovranità di Dio, inoltre, Edwards sconfessa l’idea della libertà concepita come autodeterminazione, che costituirebbe un fatto di cui Dio non sarebbe l’origine. Al contrario, l’atto dell’umano volere coincide con il fascino del bene che appare come il più grande. Il «Grande Risveglio», di cui Edwards era un esponente, costituiva un fenomeno erosivo ed eversivo dell’ecclesiologia puritana dominante e della conseguente concezione puritana dei rapporti Chiesa-Stato. L’esaltazione dell’esperienza individuale declassava l’importanza della Chiesa come istituzione, e l’identificazione del valore religioso morale con l’interiore emozione e la libertà della sua espressione infragiliva il significato dei rapporti oggettivi, dell’autorità e del governo.
Molte furono le critiche al pensiero di Edwards. Charles Chauncy (1705-1787) enfatizzò il valore della volontà umana e smobilitò, seppur cautamente, il valore dei segni emozionali come prova della fede; egli inoltre operò una revisione «liberale» del concetto di peccato originale in un’opera di rivalutazione delle forze umane e delle «opere buone». L’opposizione ai principi del calvinismo prese piede nelle Chiese congregazionaliste, prendendo una direzione razionalista e antitrinitaria. Proprio nel contrasto Edwards-Chauncy prende forma compiuta il duplice divergente solco che segnerà il ruolo del pensiero protestante americano in tutta la sua storia: quello di una «ortodossia» opposta a un «liberalismo» e a un più radicale «secolarismo». Queste due opposte posizioni si svilupparono nel corso del XIX secolo.
Da una parte, ci fu il manifesto della Unitarian Christianity (1819), caratterizzato da un antitrinitarismo, dall’enfasi sul ruolo dell’attività razionale e della libera adesione dell’uomo e da una stima ottimistica per la natura umana. La grande maggioranza delle chiese del Massachusetts e l’Harvard College furono sotto l’influsso di questa nuova corrente.
D’altra parte, nel campo rimasto ortodosso e «trinitario» si delinearono due diverse correnti. Quella dei calvinisti moderati (o Vecchi Calvinisti), e quella dei seguaci di Edwards, che ponevano l’accento sull’azione diretta della Grazia divina nell’attività umana, legandosi al movimento revivalista che periodicamente caratterizzò la vita del protestantesimo americano. Tra i leader di questa seconda corrente si segnala Samuel Hopkins (1721-1803).
Il pericolo e la diffusione del liberalismo favorì il riavvicinamento tra i Vecchi Calvinisti e i seguaci di Hopkins. Questo favorì un movimento di revival («Secondo Grande Risveglio») legato alla personalità di Timothy Dwight (1752-1817), presidente dello Yale College. La preoccupazione di rispondere ai problemi posti dagli avversari spinse Dwight e allievi a modificare il calvinismo hopkinsiano sul delicato tema della libertà, che essi concepirono come reale capacità di scelta e fondamento di vera e genuina responsabilità. Dagli inizi dell’Ottocento perciò il fenomeno revivalistico ridusse sensibilmente la sua pretesa di avvenimento di Grazia sproporzionato a ogni umana dinamica. La nuova corrente fu designata con il nome di New Haven Theology e vide tra i protagonisti Nathaniel W. Taylor (1786-1858); Asa Mahan (1799-1889); Charles Grandison Finney (1792-1875).
In seguito al larghissimo seguito delle nuove tendenze, i conservatori le accusarono di aver abbandonato i principi fondamentali del calvinismo, di essere pelagiani, di compromettersi radicalmente con il liberalismo e l’unitarismo. La roccaforte della reazione della Old School fu il College-Seminario di Princeton, e l’esponente di maggior rilievo fu Charles Hodge (1797-1878). Egli insisteva sugli aspetti dottrinali, recuperando il valore della Chiesa istituzionale, veicolo e garanzia del complesso dottrinale e della vita religiosa. Critica verso la New England Theology fu anche la Mercersburg Theology (Chiesa Riformata Germanica), unica emergenza di teologia sistematica profondamente originale rispetto a tutta la tradizione vivente. La Mercersburg Theology fu un’impresa singolare: tema fondamentale è Cristo come reale «mistica presenza» nella storia, che continua nella tradizione vivente, e il valore dei sacramenti come fatti in cui si avvera la partecipazione alla presenza di Cristo; essa non ebbe però presenza durevole nel mondo americano.
Non furono i conservatori a minare la New England Theology, ma piuttosto i colpi dell’insistente attacco del movimento liberale.