Il testo nasce dall’esperienza di quarant’anni di insegnamento della religione di Luigi Giussani prima al liceo Berchet di Milano, poi all’Università Cattolica del Sacro Cuore. È un manuale per l’insegnamento della religione cattolica, adottato nelle scuole medie superiori italiane a partire dall’anno 1999 (prima edizione).
Il volume ripropone in modo sintetico i contenuti sviluppati nei volumi del PerCorso, offerti allo studente della scuola media superiore in una versione corredata da un vasto apparato iconografico, da schede e documenti, a cura del professor Gianni Mereghetti, in ottemperanza ai programmi ministeriali concordati con la Conferenza Episcopale Italiana.
Si tratta di un approccio esistenziale al fenomeno religioso che inizia dalla scoperta del senso religioso e prosegue nell’incontro con Cristo e la Sua Chiesa.
Il senso religioso
Il senso religioso è l’insieme delle domande che costituiscono la stoffa della ragione: «Per che cosa in fondo vale la pena vivere? Qual è il senso della realtà che mi circonda?». L’unico modo efficace per conoscere un fenomeno di questo genere è prestare attenzione al proprio «io-in-azione». Ci si renderà allora conto che, accanto alla realtà «carnale» c’è n’è una «spirituale», costituita da domande inestirpabili sul senso ultimo della vita. Di fronte a tali interrogativi l’uomo è continuamente tentato di assumere atteggiamenti irragionevoli, che svuotano le domande e le riducono a sentimento o sforzo di volontà. Tale riduzione ha come conseguenza la rottura con il passato, la solitudine e la perdita della libertà. L’uomo, infatti, può essere realmente libero solo se ammette l’esistenza in sé di qualcosa che non deriva dai propri antecedenti biologici e storici, ma che è diretto rapporto con l’infinito.
Il senso religioso riemerge continuamente nell’impatto con il reale. L’uomo attento alla propria esperienza percepisce innanzitutto lo stupore di fronte ad una realtà che si impone e che non ha fatto lui. In un secondo momento, accorgendosi del proprio «io», si rende conto di non darsi la vita da sé, di dipendere da un altro, che la tradizione religiosa chiama «Dio».
La libertà dell’uomo è continuamente coinvolta nell’avventura dell’interpretazione di una realtà che si manifesta come segno, ma perché la libertà possa mantenersi in un atteggiamento positivo è necessaria un’educazione. Chiunque prenda sul serio la propria umanità si troverà in una posizione vertiginosa, nello struggimento di voler penetrare il Mistero di cui non vede il volto e rischiando continuamente di ridurre il significato totale a un idolo, vale a dire a qualcosa di finito e comprensibile.
Ma, al culmine della coscienza sofferta e appassionata dell’esistenza, si sprigiona il grido di mendicanza dell’uomo, la domanda che il significato si sveli: è l’ipotesi della rivelazione.
All’origine della pretesa cristiana
In tutti i tempi gli uomini si sono protesi alla ricerca del Mistero e, sperimentando l’impossibilità di raggiungerlo, hanno compreso che l’unico aiuto decisivo poteva venire dal Mistero stesso.
Nella libertà dei tentativi, una religione compie un delitto quando pretende di dire: «Io sono la religione». Questa è la pretesa cristiana. Essa si basa sull’ipotesi che la presenza che fa tutte le cose sia penetrata nel tessuto della storia e si sia incarnata in un fatto umano. Resta allora da chiedersi: è accaduto o no? Un fatto simile rivoluzionerebbe il metodo religioso, perché di fronte ad esso sarebbe sufficiente riconoscerlo e aderirvi.
Il Mistero ha scelto di diventare un uomo e di farsi incontrare con la stessa modalità con la quale ci si imbatte in un amico. In questo incontro accade una corrispondenza profonda tra la propria attesa umana e l’avvenimento che si ha di fronte; è questa eccezionalità che permise a Giovanni e Andrea di esclamare: «Abbiamo trovato il Messia». Gli amici di Gesù, stando con lui, ne scoprirono caratteristiche incomparabili: un’intelligenza inattaccabile, un potere assoluto sulla natura, uno sguardo in grado di leggere il segreto del cuore di ogni uomo, una capacità di commozione senza fine per il destino di ogni persona. In forza di questa corrispondenza, furono condotti dall’esperienza dell’incontro con la Sua umanità alla domanda circa la Sua divinità: «Chi sei tu?». A questa domanda Gesù rispose attraverso una lenta pedagogia, aggiungendo progressivamente elementi che suggerirono la risposta, fino alla rivelazione esplicita della sua natura divina.
Il segno più grande del fatto che Gesù è Dio è la consonanza tra la sua concezione della vita e l’attesa dell’uomo: solo Dio, infatti, può svelare e realizzare tutta l’ampiezza della natura umana. Il peccato originale renderebbe l’uomo incapace di avere un rapporto compiuto con Dio e quindi con se stesso. È la presenza di Gesù che continuamente sostiene la libertà della persona; il cristiano è dunque un uomo che nella certezza della compagnia di Cristo (fede) cammina pieno di speranza e capace di un’affezione nuova a tutto (carità).
Duemila anni dopo la natura originale del metodo dell’Incarnazione resta identica, costringendo chiunque a prendere posizione: Dio salva l’uomo attraverso l’uomo, l’incontro con una realtà umana viva.
Il cuore del problema Chiesa
Quando si affronta il problema della Chiesa la domanda in gioco è: «Come può un uomo che non ha direttamente conosciuto Cristo valutare se Egli è veramente il figlio di Dio?». Ci sono tre metodi possibili. Il primo è procedere con un’analisi storica-razionalistica per raccogliere tutti i dati, il secondo è cercare un rapporto diretto interiore con Dio, come accade nel protestantesimo. Questi due metodi riducono il fatto cristiano ad un fenomeno soggettivistico, mentre il terzo, quello cristiano-ortodosso, restando fedele alla dinamica verificatasi duemila anni fa, afferma che per conoscere Cristo è necessario un incontro umano.
Oggi una mancanza di sintonia con le parole cristiane le rende estranee all’uomo. Mentre l’epoca medievale era caratterizzata dalla facilità nel concepire Dio come fattore presente e decisivo di ogni aspetto dell’esistenza, nei secoli successivi si è sviluppato un processo di disarticolazione di tale mentalità religiosa unitaria. Umanesimo, Rinascimento e razionalismo hanno esaltato a oltranza delle capacità umane, concepite in modo astratto, portando allo scientismo e a una fiducia senza limiti nel progresso scientifico. Oggi è facile che si ammetta Dio purché non si pretenda che c’entri con la realtà umana: è la cultura laicista, per la quale la vita è concepita e vissuta come se Dio non ci fosse.
La Chiesa si pone nella storia come luogo del rapporto con Cristo vivo. L’inizio della Chiesa, infatti, è un gruppo di amici tenuti insieme dalla presenza di Cristo risorto. Tre sono i fattori costitutivi di tale fenomeno.
Si tratta di una comunità, di una realtà sociologicamente identificabile (Ecclesia Dei).
In secondo luogo, i primi cristiani sono consapevoli che tutto ciò che accade in loro di eccezionale non è frutto della loro adesione ma dono misterioso dello Spirito, di una «Forza dall’Alto» che li ha investiti.
Infine, il fatto cristiano dà inizio a un nuovo tipo di vita, descritta nel Nuovo Testamento con il termine koinonia (comunione), che indica un gruppo di persone che ha qualcosa in comune. I primi cristiani hanno in comune la ragione della vita, Cristo.
La Chiesa ha la pretesa di veicolare il divino attraverso l’umano e questo genera una sproporzione: un’umanità fragilissima è destinata a rendere evidente l’invincibilità di una Presenza che usa dell’uomo ma non viene dall’uomo. Inoltre Dio si comunica attraverso l’ambiente e il momento storico-culturale, così la Chiesa mostra sempre i segni dell’epoca particolare in cui opera, pur conservando in sé la verità nella sua integrità.
Lo scopo della Chiesa nel mondo e nella storia è lo stesso di Gesù: educare l’uomo ad una chiara coscienza e ad un corretto atteggiamento di fronte al destino. Ciò avviene in primo luogo attraverso la comunicazione della verità, che è espressa dal magistero ordinario e straordinario dei vescovi e del Papa, e in secondo luogo attraverso la comunicazione di una realtà divina. Tale realtà divina tocca l’essere dell’uomo e lo trasforma in una creatura nuova per azione della grazia santificante che si comunica attraverso gesti concreti, i sacramenti, i quali prolungano nella storia i segni con cui Cristo comunicava se stesso.
Come è possibile raggiungere la certezza che la Chiesa è veramente il prolungarsi di Cristo nel tempo e nello spazio? Sono quattro i frutti che mostrano il valore divino della Chiesa e la sua continua efficacia nella storia.
L’unità, vale a dire una semplicità unificante nel sentire e giudicare l’esistenza. Ciò è possibile perché il principio con cui si giudica è un’unica Presenza inequivocabile.
La santità, non intesa come separazione dal quotidiano normale, ma come prerogativa dell’uomo realizzato, che vive e agisce con la consapevolezza del motivo ultimo della propria azione.
La cattolicità, dimensione della Chiesa che esprime la capacità di pertinenza all’umano in tutte le sue espressioni.
Infine l’apostolicità, secondo cui la Chiesa afferma di essere l’unica depositaria di una tradizione di valori e di realtà che deriva dagli apostoli e che prosegue nei vescovi e nel Papa.
Appendice, questioni di metodo
Per conoscere se stessi e la realtà, dunque anche i fenomeni di cui si è discusso, occorrono tre premesse di metodo. La prima è il realismo, ovvero la consapevolezza che il metodo di ogni ricerca non nasce da uno schema precostituito, ma è imposto dall’oggetto. È necessaria in secondo luogo una fedeltà alla propria natura, alla propria ragionevolezza, cioè alla capacità di afferrare e affermare la realtà nella totalità dei fattori. Occorre infine una moralità, una disponibilità ad amare la verità più di quanto non si amino le proprie immagini e i propri pensieri.