Il volume presenta i primi scritti (1951-1964) di Luigi Giussani, raccolti secondo tre tipologie: scritti riguardanti «l’educazione alla Chiesa» nell’ambito educativo; scritti di argomento ecumenico, volti all’indagine del protestantesimo e dell’ortodossia; scritti che trattano di aspetti importanti della vita cristiana. Questi testi, pur affrontando temi diversi e rivolgendosi a un pubblico disomogeneo, partono da un’identica consapevolezza o, direbbe l’Autore, da un’«idea-luce», e cioè la profonda certezza che Gesù Cristo opera e agisce, non solo come Creatore iniziale, ma in ogni circostanza e in ogni tempo, hic et nunc. Questo contenuto di fede, a ben vedere, è la forza di sintesi, ma anche di analisi critica, di tutti gli argomenti presi in considerazione dall’Autore: dalla «presenza cattolica» nelle scuole statali all’auspicio di nuove scuole libere, dai problemi posti dai grandi scismi alle difficoltà del lavoro ecumenico, da una corretta definizione di speranza cristiana fino all’esigenza fondamentale dell’uomo che è la preghiera.
I. Educare alla Chiesa
La sezione si apre con il brevissimo saggio del 1959 Beata quae credidisti, in cui l’Autore identifica in Maria la creatura che più si è abbandonata e resa disponibile al Signore: la realizzazione dell’uomo (questo concetto verrà poi ripreso anche durante l’analisi della figura di Abramo) si attua nella misura in cui aderisce alla volontà del Creatore. La modalità con cui la Madonna ha amato e aderito alla volontà del Signore risulta essere la linea guida, pur non menzionata, degli scritti raccolti in questa sezione.
Nei due saggi successivi, Come educare al senso della Chiesa (1960) e Per un’educazione dello spirito cattolico (1960), Giussani si propone di osservare la caratteristica originale del metodo della Chiesa per cogliere alcuni indirizzi pratici dell’attività educativa. Tale caratteristica è «l’obbedienza a un fatto irrecusabile»: questa obbedienza a un fatto comporta il grande passaggio dalla «teoria su Dio all’esperienza di Dio nella Rivelazione». La verifica non di un’idea, ma di un’esperienza implica il coinvolgimento di tutta la vita, soprattutto dove la vita urge di più e cioè nell’«ambiente» (la scuola, il lavoro o la casa o altro ancora); per vivere l’ambiente, secondo le caratteristiche originarie del metodo della Chiesa, occorrono: spirito missionario, dimensione comunitaria e carità.
Nel saggio Crisi e possibilità della gioventù studentesca (1961) si rintraccia l’origine del malessere profondo del mondo studentesco secondo due punti: 1. l’assenza di convinzioni e cioè di un’ipotesi unitaria che sappia tenere assieme le materie affrontate e la propria vita (mancanza non casuale, ma attribuibile al pensiero laicista e razionalista); 2. la mancanza di eticità cioè di impegno con l’essere, con l’esistenza. In questo quadro, voluto dalla cultura dominante, la proposta religiosa offerta agli studenti è lacunosa per tre aspetti: 1. non viene proposta «la profonda pertinenza di Cristo a tutto»; 2. non si propone di impegnarsi per comprendere, ma si accetta che i giovani vogliano «comprendere prima di impegnarsi»; 3. «non si segue il cambiamento di una certa età» (non ci si cura che i ragazzi prendano in considerazione criticamente e lealmente la tradizione). Vengono quindi elencati i punti per «un’energica azione educativa»: 1. proporre Cristo come «principio risolutore» di ogni cosa; 2. verificare vitalmente il primo punto; 3. ridestare a prospettive «di responsabilità universali»; 4. instillare il profondo senso della comunità.
Nel saggio Valore educativo della scuola libera (1969) si riprende il concetto basilare di «ipotesi unitaria esplicativa della realtà» come punto di lavoro di una scuola vera e libera, poiché solo proponendo un’ipotesi unitaria la persona può crescere e non rimanere bloccata in uno «pseudo-giudizio»: «Essa sola (la scuola libera) come norma può creare coscienze veramente aperte e spiriti veramente liberi».
Negli altri saggi raccolti, L’universalità del messaggio cristiano (1961), L’educazione ecumenica (1961), Cristianesimo aperto (1960), Educazione missionaria dei giovani (1962,) si recuperano e approfondiscono i temi posti dai primi saggi, con maggior ampiezza di trattazione e uno sguardo particolarmente attento alla missionarietà e alla comunionalità: la sintesi operativa di questi contributi è rappresentata dallo scritto Che cosa è Gioventù Studentesca (1964,) in cui vengono affermati con chiarezza i principi che l’hanno fatta nascere.
II. Prospettive sul protestantesimo e l’ortodossia
I saggi accademici raccolti in questa sezione si dispongono secondo due linee: la prima è l’indagine rispetto agli atteggiamenti protestanti e ortodossi riguardo al dogma dell’Assunta (e in generale riguardo a Maria) e al sacramento dell’Eucarestia; la seconda è lo sforzo ecumenico e intercomunionale tra le Chiese scismatiche. Alla prima linea appartengono i saggi Atteggiamenti protestanti e ortodossi davanti al dogma dell’Assunta (1951), L’Eucarestia presso gli orientali (1953), L’eucarestia nella Chiesa Anglicana (1953), Maria nell’Oriente cristiano (1954); alla seconda linea i saggi Da Amsterdam ad Evanston. Cronaca ecumenica (1954), Il problema dell’«Intercomunione» nel protestantesimo attuale (1954).
In questi saggi emerge chiaramente come lo scandalo da parte protestante rispetto al proclama del dogma dell’Assunta (1950) abbia origine da due dubbi: 1) che non esista autorità vivente «deputata a definire […] quanto è contenuto nella rivelazione salvifica di Dio»; 2) «se l’uomo possa cooperare con Dio nell’opera della salvezza». Il protestantesimo sostanzialmente non intende che la Chiesa Cattolica «glorificando Maria, rende in ultima analisi un più completo omaggio a quell’unica Redenzione di Cristo che dal peccato ha saputo trarre un Essere cosi benedetto». La questione è più sfumata per quanto riguarda l’atteggiamento ortodosso e trova il suo punto discriminante soprattutto nel fatto che l’autorità competente per proclamare questo dogma (ritenuto non strettamente necessario) non sarebbe la cattedra di Pietro.
Nel secondo saggio, L’eucaristia presso gli orientali (1953), si indagano gli elementi della fede ortodossa secondo i seguenti punti: La presenza reale, La transustanziazione, Il sacrificio, Il pane azimo, L’epiclesi, La comunione sub utraque specie, La comunione ai bambini, La riserva eucaristica per gli infermi. Nella considerazione che «la dottrina delle Chiese Orientali è fondamentalmente identica a quella della Chiesa Romana» emerge anche con dolore la constatazione che «la lontananza dalla fonte della verità oscura un po’ anche i frutti di una dottrina conservata così rettamente», permettendo così l’introduzione di una sorta di Giansenismo pratico che impedisce la comunione frequente e alcuni atti di devozione.
Ne L’Eucarestia nella Chiesa Anglicana (1953) si dà conto della complessa e ambigua storia anglicana nei confronti del sacramento dell’Eucarestia, prendendo in particolare considerazione la deriva calvinista nella Chiesa Anglicana e il tentativo profondamente fruttuoso di alcuni ambiti della High Church, pur ostacolata dalla Low Church e dalla camera dei comuni, di riprendere una corretta e tradizionale impostazione riguardo al sacramento dell’Eucarestia: i punti di analisi sono la questione della vera presenza e della modalità della vera presenza, ma anche la questione dell’epiclesi, della riserva eucaristica, dei rituali, delle suppellettili e dei paramenti sacri. Nella conclusione del saggio si constata l’indifferenza, secondo il tipico principio anglosassone della «comprensione», delle più alte gerarchie Anglicane riguardo al come è veramente presente Cristo nell’Eucarestia: segno di una Chiesa più motivata dalla pacifica coesistenza di dottrine opposte che dalla passione per la verità.
Nei due saggi Da Amsterdam ad Evanston. Cronaca ecumenica (1954) e Il problema dell’«Intercomunione» nel protestantesimo attuale (1954) l’Autore dà conto, con trepidante attenzione, del grande tentativo ecumenico delle centosessantuno Chiese protestanti ed ortodosse che hanno partecipato alle assemblee di Amsterdam (1948) e di Evanston (1954); la cronaca che Giussani fa, con grande ammirazione e stupore, del grande sforzo ecumenico e delle quasi insormontabili difficoltà (anche solo per scegliere il tema e il titolo della seconda assemblea) non manca di fornire un chiaro giudizio a riguardo: la possibilità e la speranza di vera unità è solo in seno alla vera obbedienza al fatto di Cristo e non negli sforzi interpretativi, pur lodevoli, dei singoli. D’altro canto è proprio rispetto a questa obbedienza che si è sempre giocata la grande vicenda delle eresie e degli scismi.
III. La speranza del cristiano
La speranza del cristiano, perfezionando la speranza umana tout court, è già una pienezza di gioia, è già un inizio di compimento perché l’uomo cristiano, già nella vocazione e nell’obbedienza a Dio nel quotidiano, sperimenta una grandezza di respiro e di realizzazione inaudite ed eccezionali. Questo è il fondamento dei saggi Dalla speranza alla pienezza di gioia (1961), Vita come vocazione (1959), L’abbandono e il quotidiano (1958).
Nel primo saggio si coglie, dalla diretta osservazione del «fatto umano», che l’uomo «nasce come incoercibile impeto a realizzare sé» ovvero come «una promessa di adempimento»; questa promessa però, anche per le «strane e tremende contraddizioni della vita», si scontra con la geniale consapevolezza della impotenza umana: di fronte a questa duplice evidenza, promessa e impotenza, le posizioni umane possono essere sintetizzate in due opzioni: l’evagatio mentis (distrazione) o un volontarismo di derivazione stoica. Ciò che scardina, però, questi assetti ben rintracciabili nella storia umana è che la speranza cristiana «non è più un’attività promanante da me, una semplicità di adesione da me stesso ottenuta; non è più una mia iniziativa di cammino verso l’infinito, […] ma questa speranza mi viene incontro da fuori di me, me la trovo all’esterno e mi penetra dentro».
Nel secondo saggio viene recuperata la parola santità, parola chiave della tradizione cristiana, mondandola di ogni buonismo anacronistico e legandola indissolubilmente al concetto di perfetta obbedienza alla Volontà di Dio e non alle immagini prodotte dalla mentalità del soggetto: ancora una volta, silenziosamente, opera il grande esempio di Maria.
Nel terzo saggio, recuperando la figura di Abramo, Giussani trova nel Vecchio Testamento questa immagine attualissima di dedizione e obbedienza a Dio nella quotidianità: come Abramo seguì la voce di Dio nel suo essere pastore nomade, così occorre che l’uomo contemporaneo si abbandoni al grande progetto di Dio nella sua quotidianità di studente o lavoratore. Il progetto è grande perché coinvolge la quotidianità e in questo sta l’eccezionalità: non in una vita resa straordinaria secondo i criteri che ancora il romanticismo getta sulla nostra mentalità.
Nei saggi Alcune cose sulla preghiera (1958) e Osservazioni sullo spirito comunitario e la preghiera (1958) si recupera alla vita contemporanea la questione della preghiera, intesa in tutta la sua portata, e cioè la grande intuizione di fede che la vocazione alla vita e all’essere dell’uomo si realizza nel Regno di Dio «Venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà»: le declinazioni personali e liturgiche affermino sempre questo unico contenuto. Inoltre, poiché il Regno di Dio è l’ideale della dimensione comunitaria cristiana, Giussani invita a concepire la preghiera comunitaria come il gesto più desiderato dalla singola persona in ordine alla sua vera realizzazione.
Nel saggio Vita cristiana e realtà missionaria (1963) ribadisce che il destino dell’uomo è un destino di Amore e perciò per sua natura «comunitario e missionario» e recupera, come insegnamento per la comunità, la riflessione del 1960 Lo Spirito Santo Signore e Vivificatore in cui, a partire dal Credo, viene spiegato come questo Dono permetta l’unità della comunità cristiana con Cristo e la vera conoscenza di Dio: «Ma quando lo Spirito entra nel cuore dell’uomo, oh, come tutto diventa chiaro, come appare vero che Gesù è il Verbo, come sono comprensibili e suggestive le sue parole, come imponente il suo pensiero […]. È lo Spirito di Gesù in noi che ce lo assicura: “È Lui”».