Queste lettere, pubblicate nell’ottobre del 1997 da mons. Angelo Majo, sono solo alcune delle lettere, intime e confidenziali, indirizzategli da don Luigi Giussani. L’autore, nel momento della stesura, era certo che non sarebbe stato letto da persona alcuna oltre al destinatario; da ciò l’ovvia mancanza di sistematicità nella trattazione degli argomenti e il continuo rimando a situazioni extratestuali: pertanto il lettore, a ben vedere imprevisto, deve tener conto che si sta accostando, non a un libro, ma alla vita dell’Autore.
1944 Non avrei mai potuto immaginare che tu ricordassi
Luigi Giussani, ancora diacono, in quest’unica lettera del ’44, omaggiando il fratello di Angelo Majo di un piccolo dono, «una finezza di mia sorella», riflette sulle cose fatte con cuore che, anche se piccole, «sono tutte un grande simbolo» e dice il suo stupore commosso poiché Angelo Majo ricorda ancora la «goutte d’eau qu’on peut bevoir»: breve concetto condiviso tempo addietro. Ogni piccolo gesto, ogni persona che ci vuol bene, dice, «non sono se non l’involucro sensibile e simbolico di Uno che ci porta terribilmente amore, fino a perseguitarci con gelosia e passione». Luigi Giussani prosegue rincrescendosi di «non aver mai subite sofferenze violente» e scongiura di essere fatto «prete privo di ogni cosa» per poter «parlar con efficacia» a chi soffre e poter dire: «Credimi, fratello!».
1945 Io non voglio vivere inutilmente
Nel gruppo di lettere del ’45 si affaccia l’esperienza della croce; Luigi Giussani è costretto a letto dalla malattia e, gioendo per aver ricevuto una lettera da parte di Angelo Majo, segno di un’amicizia così cara che non osava sperare essere vicendevole, dice il timore nello scrivere parole di fronte al fatto tragico occorso alla famiglia Majo: timore vinto solo dalla «convinzione dolcissima» che l’Ideale supremo della nostra vita è farsi identici a Lui in croce fino a «impastare» se stessi con Lui. Due versi di Jacopone da Todi, «uno dei più grandi poeti», mostrano che questo impastarsi sia il cammino stesso verso il sacerdozio (per Luigi Giussani ormai prossimo). La riflessione sull’amicizia, che è il simbolo più diretto «del nostro legame inenarrabile con Lui», e sull’essere Sacerdote, cioè «Unum, impastati con Lui» tanto che «non c’è più nulla, nemmeno la divinità, che sia solo suo», continua nelle lettere successive dettagliandosi soprattutto nell’aspetto del sacrificio che rende simili a Cristo. È però nel dicembre del 1945, in occasione della promessa del suddiaconato di Angelo Majo, che don Giussani, dal letto dell’ospedale di Desio, in cui giace con febbri alte da numerosi giorni, esplicita il senso definitivo dell’amicizia: «Egli, il mio Amore, ha incominciato a toccare anche te» e poi «noi non siamo forse al mondo per amore di Lui e per la felicità degli uomini? Come è bello che Gesù ci abbia messi insieme per questa missione». È in questa prospettiva che don Giussani trova la risposta a quella che ci dice essere la sua ossessione: «Io non voglio vivere inutilmente».
1946 Similes Ei erimus
Don Giussani giace ammalato e si strugge per la «tentazione di tristezza e solitudine» che avvolgerà Angelo Majo al ritorno in seminario: pur conoscendo le grandi sofferenze dell’amico, don Luigi Giussani ribadisce che si sente troppo «amico» per tacere e poiché «l’amicizia è una tal cosa che lascia irrequieti al pensiero di essere diversi dall’amico» rinnova l’esortazione a farsi uguali a Cristo in croce; croce che più avanti chiamerà «il fior fiore della felicità cristiana quaggiù». Intanto, pur nella costrizione della malattia, «il sacrificio mio più grosso, l’umiliazione di essere ammalato», don Giussani inizia ad affermare la grandezza infinita del desiderio che, acuito dalla «forzata inattività», trova sua consolazione solo nel «divino verso di Dante: “e ‘n sua volontade è nostra pace”». Successivamente, attraverso una serie di memorabili immagini riprese dal paesaggio marittimo di Varigotti, dove è costretto a trascorrere un lungo periodo di convalescenza, don Giussani riflette ancora sulla grandezza di cui è capace l’anima umana ovvero «il senso travolgente di una [...] immane aspirazione all’infinito, al mistero infinito», ma soprattutto riflette riguardo all’Amore di Dio: «infinito, enorme, che si è curvato sul mio nulla, […] che ha compiuto l’assurdo di rendere me […] come Lui, similes ei erimus».
1947 La volontà di Dio solo importa
Nella prima lettera del 1947 don Giussani affronta, a beneficio dell’amico, il delicato tema della tensione tra l’obbedienza ai superiori, «pieni di comprensione e finezza», e l’esuberanza di idee e di giudizi «che scaturiranno dal misterioso e sconosciuto fondo dell’anima»: don Luigi Giussani consiglia fermamente l’amico di venerare i propri superiori e i loro principi poiché il nuovo non può giudicare affrettatamente la tradizione che lo ha fatto nascere e crescere. Nelle lettere successive, la lunga attesa di guarigione, «io sono qui sempre in attesa […] di qualche cosa che muti questa mia silenziosa scomparsa in nuova vita attiva, che la muti se il Signore vorrà», e il nuovo lutto occorso alla famiglia di Angelo Majo (per cui don Luigi Giussani arriverà a dire «ti penso con una venerazione mista quasi a paura e vergogna») portano a ribadire, forse con maggior sintesi, la questione principale dell’anno 1945: ogni esperienza, anche la più tremenda e dolorosa, svela «la Realtà, Lui: Gesù Signore».
1948 Un perché più concreto
Don Giussani, gioendo poiché ormai Angelo Majo è definitivamente vinto e legato a Cristo, suggerisce con forza una sua personale scoperta e cioè che c’è un «perché più concreto, più sperimentabile e più appassionato» della «felicità» degli uomini; «ce n’è Uno» che è più universale di tutti gli uomini messi insieme e nello stesso tempo «più incarnato nella nostra personale individualità: […] ed è l’amore di Lui. La gloria di Lui per Lui». Questo “perché” è tanto più concreto che spalanca lo sguardo di don Giussani ad ogni particolare: «L’attrattiva e il richiamo arriva al nostro cuore da innumerevoli cose. In gara». E così, sia l’estivo orizzonte montuoso, sia tutti i «bei volti umani» e tutti i cuori sono il segno certo che l’Amico è tutto, che Dio è tutto. Sei mesi dopo, in occasione del giorno del diaconato di Angelo Majo, coerente con la grande intuizione avvenuta, parlerà del diaconato «come uno di quei giorni, ai quali si può sempre ritornare a ritrovare quella ragione e quella attrattiva profonda che d’improvviso ridestano il fuoco della propria generosità e fedeltà all’Amore […]».
1949 Lavoro nove o dieci ore al giorno
Si intuisce che la salute di don Giussani torna compatibile con un impegno serrato negli studi e nella pastorale e, infatti, oltre a comunicare la gioia per il sacerdozio di Angelo Majo, le tre lettere del 1949 sono un’esplosione di vitalità e impegno: «La scoperta esige iniziativa, tensione, pazienza, fiducia […]».
1950 Il sentimento fondamentale
Le dodici lettere del 1950 si dispiegano tra comunicazioni, auguri, inviti e disdette, ma sono il segno di un’amicizia consolidata e certa: le varie situazioni della vita dei due sacerdoti fanno da sfondo al desiderio costante dell’incontro, spesso però rimandato per obbedienza alle stesse circostanze. Questa nuova situazione porta a riflessioni spesso concise ma che testimoniano la certezza sempre più grande che «[…] la realtà è buona (e Gesù l’ha creata per noi), e non può tradire i nostri più struggenti desideri e le nostre più appassionate immaginazioni!» e che, nonostante le cose effimere, a volte, ci tentino più di Lui, «il sentimento fondamentale, decisivo […] è quello della intenzione tesa a Gesù, intenzione retta verso di Lui sopra e al di là di qualsiasi cosa»: in ultimo la consapevolezza che emerge è che «il desiderio è solo di Lui». Così, ogni particolare della vita, come per esempio il passaggio dal Lei al Tu nelle lettere di don Angelo Majo a don Luigi Giussani, è permeato dello sguardo a Cristo: «Non mi avresti potuto donare il tuo tu […] se non ti fossi sentito di donarlo prima […] a Gesù». Inoltre, nelle sentite scuse di don Giussani, fornite ogniqualvolta è costretto a rimandare un appuntamento o mancare una visita, emerge tutta la pienezza di vita di questo periodo: le lezioni, le lezioni supplementari (a cui si dedica poiché altrimenti gli sembrava «di non tener conto di Gesù»), un contrattempo sopravvenuto al matrimonio di una cugina, un corso di esercizi per ragazzi aspiranti, la preparazione dei ragazzi per la licenza.
1951 Pauci electi
Nell’intensificarsi della reciproca raccomandazione alla Madonna, don Giussani riflette in più punti riguardo all’eccezionalità dell’amicizia di Angelo Majo: «Immagini se tu non fossi nato, quale meravigliosa cosa di meno ci sarebbe al mondo» oppure «io ti ringrazio che tu sappia passare oltre la scorza grossolana del mio modo d’esprimermi». Ma il punto più alto della riflessione sull’amicizia è che «la nostra pace diventa un’irresistibile urgenza d’azione» poiché c’è un’ansia che non lascia requie: «È che tutti non sanno». Il riferimento ad una poesia di Angelo Majo, particolarmente apprezzata, e ad un libro di storia del Grousset, che è una «cannonata», fanno intendere gli sviluppi culturali che il loro rapporto potrà avere in futuro.
1952 Come è duro cozzare, nell’amicizia, contro la parete del riserbo
Don Giussani, a seguito di fatti ignoti al lettore, commenta e riflette sul «limite di libertà nell’amicizia» e su «come è duro cozzare […] contro la parete del riserbo»; incomprensioni e differenze di carattere s’infrangono però sull’«importante» e cioè sacrificarsi in fondo «per gli altri» per la bellezza vista e intuita.
1953 Questo contrasto è una linea in più del disegno
Don Giussani in agosto inoltrato, rimandando le argomentazioni ad un dialogo futuro, comunica sinteticamente che per l’anno a venire lo aspetta un «disegno un po’ malinconico»: ne è un segno il fatto che per seguire l’inserimento in seminario degli «speranzini» (le vocazioni adulte) non può recarsi dall’amico.
1954 – 1964 Importa l’anelito nella direzione esatta
Da questo gruppo di lettere pubblicate, nove in tutto, fin dall’agosto del ’54 trapela tutta la certezza e, nello stesso tempo, l’ironia, «volo a colpi, come gallina e tacchino», per il tentativo pastorale nella scuola e nel mondo: nella chiusura della lettera del ’54, affida allo Spirito Santo e alla Madonna la vacanza studio che condurrà a Gressoney con 45 studenti. È il preludio, in commovente tensione con gli anni della malattia, di una vitalità e di una ampiezza di esperienza che si estenderà a molte persone; è significativa in tal senso la richiesta a don Angelo Majo di organica collaborazione per la dimensione culturale di Gioventù Studentesca, ma anche le richieste di aiuto per l’organizzazione burocratica dei primi viaggi in Brasile (testimonianza di un fervido impeto missionario). Successivamente, nelle lettere del ’64, il commento riguardo ad alcune incomprensioni (normali rispetto ad un movimento così dinamico e così inserito nel cuore della tradizione diocesana milanese) è comunque l’occasione per ribadire «la speranza di sempre, intatta, tanto intatta che mi sembra di avere quella e basta».
Appendice
Oltre alla biografia di mons. Angelo Majo e di Giussani, viene raccolto anche un breve «Elogio dell’amicizia» in cui don Luigi Giussani definisce l’amicizia «riverbero sulla faccia e nel cuore umani del Mistero di Dio, come si è fatto conoscere a coloro che il Padre ha prescelti attraverso il Figlio per il dono dello Spirito». L’amicizia, prosegue, è d’altronde un «presentimento di unità» che può accendersi dovunque nel mondo ma che «su suolo cristiano essa può attecchire solida e ampia, - eterna e comprensiva»; l’amicizia non è coerenza o accanimento ma «imitazione del Mistero di Dio cui lo Spirito discretamente e fortemente richiama. Al di fuori di questa terra benedetta resta impeto nobile e triste, inquieto nella consapevolezza della sua precarietà».