Introduzione. L’uomo è fatto per Dio. Ciò significa che ha in sé la capacità stessa di Dio. Tale «capacità», che lo protende attivamente verso l’oggetto per cui è fatto, si chiama «senso religioso». Egli se la trova addosso come un dato della natura. Il senso religioso, perciò, identifica la vocazione della vita dell’uomo, l’iniziativa di Dio che crea l’essere.
I Il punto di vista
1. Senso religioso e fede. Il senso religioso ha come oggetto proprio il Mistero. Esso dà luogo a una molteplicità di tentativi attraverso i quali l’uomo mira a conoscere e a entrare in relazione con Dio. Nel chiarimento del rapporto tra il senso religioso e la fede cristiana, è necessario correggere un’idea diffusa di ecumenismo, secondo la quale tutte le religioni sarebbero uguali: l’equiparazione della fede che nasce dall’incontro con Cristo a una qualsiasi espressione del sentimento religioso fraintende la natura del cristianesimo ed elimina Cristo come fatto storico. Solo nell’incontro con Cristo, il Mistero fatto uomo, infatti, si chiarisce la verità stessa del senso religioso: è seguendo Cristo che si capisce fino in fondo cosa sono il cuore, la ragione e il destino. La cosa più importante su cui costruire la strada della propria vita, perciò, non è il senso religioso, ma è l’incontro con Cristo.
II Il primato della realtà
2. L’importante è la realtà. Il punto di partenza del dinamismo attraverso cui l’io conosce sé è l’impatto con il reale. L’alternativa a questo, anche per quel che concerne la conoscenza di sé, è il partire da una propria immagine. L’io si realizza prendendo coscienza di quel che ha davanti, così come il suo occhio lo vede e il suo sentimento lo coglie. L’uomo scopre in sé un desiderio infinito, senza misura. Questo desiderio è comune a tutti gli uomini: tutto ciò che si vive deve essere paragonato con tale «destinazione senza fondo». L’immedesimazione con qualsiasi aspetto della realtà detta un ideale che coincide con le esigenze senza limite di verità, di bellezza e di amore; da questo paragone nasce la tensione a realizzare il progetto che l’impatto con la realtà suscita. Questo è il concetto di lavoro.
3. Realtà e ragione. La ragione è coscienza della realtà secondo la totalità dei suoi fattori. Tale definizione individua l’esigenza essenziale della ragione, che, nel rapporto con la realtà, si esprime in una «disponibilità alla totalità», in un’inquietudine che non si placa, se non nel momento in cui si sono considerati tutti i fattori. Quanto più l’uomo è teso a cogliere questa totalità, tanto più si accorge di non poterla raggiungere se non ammettendo un fattore irriducibile a tutti gli altri: il Mistero. L’io, guardando la realtà, capisce che essa non si fa da sé, ma che un Altro la crea. Solo nella misteriosa compagnia di questo Tu l’uomo può non sentire estranea la realtà. L’alternativa fra l’accettazione del reale e il suo rifiuto si gioca, dunque, di fronte a questo Tu, che storicamente si è incarnato in Cristo, mostrandosi all’uomo come suo salvatore.
4. Evidenze ed esigenze. L’io è costituito da un nucleo di esigenze ed evidenze originali che lo proiettano sulla realtà e gli fanno prendere atto di che cosa essa sia. In forza di tali esigenze ed evidenze, nell’impatto col reale, l’uomo è percosso da un «affectus». La natura di tale affectus, che è un fattore essenziale della conoscenza, si può individuare ultimamente in quell’apertura curiosa e positiva che descrive l’assetto originale con cui Dio ha posto l’uomo di fronte alla realtà. Queste stesse esigenze ed evidenze costringono l’io a concepire la realtà secondo un’immagine da esse dettata: l’uomo non può non desiderare di cambiare il reale secondo quelle esigenze ed evidenze. Ciò non sarebbe, tuttavia, possibile se non fosse venuto Cristo a chiarirle all’uomo e a sostenerlo nel viverle.
5. Coscienti di sé. In primo luogo, la coscienza di sé cresce quando l’io prende coscienza della propria origine: rapporto con qualcosa d’infinito. In ogni azione dell’io c’è un’aspirazione all’infinito, alla bontà, alla verità, alla giustizia, alla felicità, che spinge verso qualcosa che realizzi questi desideri. In secondo luogo, la coscienza di sé cresce attraverso l’impatto con la realtà. In terzo luogo, essa fiorisce quanto più cresce l’affezione, intesa qui come la capacità di aderire all’essere, di accogliere e di accettare la realtà, affermandola per quel che veramente è.
III L’uomo, struttura di domanda
6. Da un impegno con la vita intera. La condizione per sorprendere in sé la natura del senso religioso è un impegno con la vita intera. Ciascun particolare deve essere collocato in una prospettiva totale. Questa implicazione della totalità nell’azione particolare, se è impossibile in senso materiale, è però realizzabile in senso spirituale, nella misura in cui i particolari sono vissuti alla luce dello scopo ultimo; è cioè riconosciuta l’esistenza di un senso ultimo che li unifica.
7. La sete e il paradiso. La dinamica della ragione per sua natura implica l’esistenza di un «perché ultimo», implica cioè l’esistenza della risposta alla domanda che definisce la struttura umana. Se la natura dell’io è una infinita sete di significato e di soddisfazione, la risposta esauriente a questa sete può solo essere infinita ed eterna: perciò si può immaginare che in paradiso la soddisfazione del desiderio del cuore sarà un eterno soddisfarsi. Di questa soddisfazione eterna, l’uomo nella vita terrena ha un anticipo evidente in tutto ciò che è da lui vissuto come Dio vuole, cioè secondo verità.
8. La negazione di Natalino Sapegno. Sapegno afferma che la riflessione di Leopardi è caratterizzata da «quelle domande che il filosofo vero e adulto allontana da sé come assurde e prive di un autentico valore speculativo»: che cosa è la vita? A che giova? Qual è il fine dell’universo? Perché esiste il dolore? L’esperienza umana, tuttavia, termina sempre, per sua struttura, in questi interrogativi ultimi. Lo testimonia Leopardi, in Alla sua donna, quando legge nella bellezza della donna amata un inesorabile rimando alla Bellezza. L’uomo non trova nell’esperienza la Bellezza (la verità), cui inesorabilmente aspira, ma l’esperienza gli dice che essa necessariamente c’è. A questo realismo si oppone Sapegno, che sostiene che la verità, poiché deve essere affermata come trascendente l’esperienza, non esiste, e che la stessa domanda dell’uomo deve essere cancellata. Questo atteggiamento, rinnegando aprioristicamente un dato dell’esperienza, è palesemente irrazionale. È con Cristo che questa realtà è entrata all’interno dell’esperienza, si è resa oggetto dell’esperienza dell’uomo.
IV La dinamica della conoscenza
9. L’intelligenza-ventosa. Nella dinamica della conoscenza si rende evidente che la ragione è un’affezione originale verso la realtà: la ragione, poiché è capacità di cogliere la realtà, è un «affectus». L’affezione è come una ventosa con cui l’occhio dell’intelligenza aderisce alla realtà: l’intelligenza capisce, perciò, perché c’è l’affezione. La ragione si attua quando «subisce» la realtà, vale a dire l’accetta, l’accoglie, l’afferma, e ultimamente riconosce che essa è data da un Altro. All’interno di questa dinamica, la libertà può intervenire a strappare l’affectus dalla ratio, allo scopo di usare arbitrariamente delle cose, sottraendosi a quel riconoscimento. La condizione dell’uomo è tale che egli, senza qualcosa di più grande di sé, senza una presenza più potente di sé, cederebbe di continuo a questa menzogna.
10. Essere bambini. Il bambino mostra un aspetto essenziale della dinamica della conoscenza: egli, innanzitutto, accusa quel che vede. Ciò che prevale è l’Essere, non il preconcetto proiettato sull’Essere. Ora, quando l’io considera le esigenze del cuore, l’introduzione artificiosa della pretesa che l’esigenza sia soddisfatta in un certo modo altera la natura dell’esigenza stessa. Dalle esigenze del cuore scaturisce tutta l’infinità numerica dei nostri desideri; ma questa infinità deve essere sacrificata, deve cedere di fronte alla modalità delle circostanze in cui Colui che ci ha creati chiama il cuore a vivere. E tale sacrificio richiede una forza che è solo frutto della mendicanza a Dio.
11. «Torna a Surriento». Non c’è un vero conoscere, se la realtà non è percepita e accettata come cosa vivente. Accettare appartiene all’affezione. È una commozione, come quella del bambino verso sua madre: per l’uomo riconoscere una presenza come esistente significa accettarla secondo la risonanza che essa ha in lui. Ciò vale sommamente per la conoscenza del “tu”, sia umano che divino. L’uomo è chiamato a riconoscere Dio come un esistente, dandogli del “tu”. Una cosa è, infatti, dare la definizione di Dio, un’altra è vedere in Lui una personalità esistente. Che Dio sia «un esistente» significa che è totalmente libero e che può farsi uomo, entrando nel seno di una donna. Per riconoscere come esistente quel Dio che è risposta alla malinconia che si ha dentro, bisogna scoprire in sé quella malinconia che una canzone come Torna a Surriento esprime.
V La dinamica della libertà
12. Libertà e soddisfazione. L’uomo scopre nella propria esperienza la libertà come capacità della felicità totale. Una vera coerenza alla propria natura implicherebbe sempre l’adesione a ciò che veramente porta l’io verso la felicità ultima, verso Dio. Perché la libertà sia in grado di scegliere ciò che porta più vicino a Dio, occorrono essenzialmente due condizioni: una coscienza forte, vigile, razionale del destino per cui l’uomo è fatto e un’energia nell’affezione al destino. In Cristo il Mistero si è rivelato come presenza affettivamente attraente, per dare all’uomo la chiarezza necessaria e l’energia affettiva adeguata perché la dinamica della libertà si mostrasse nella sua verità.
13. L’attrattiva che compie. Di fronte alle cose la libertà si esprime nella scelta fra il sì e il no. Il mistero della libertà consiste nel fatto che l’uomo ha il potere di dire di no anche a ciò che lo renderebbe più compiuto e perfetto. La scelta fondamentale della libertà risiede nell’identificare ciò in cui sta il suo compimento e nell’aderirvi. «L’usura, la lussuria, il potere», secondo l’immagine di Eliot, misurano il «vale la pena» della vita secondo ciò che stabilisce la mentalità dominante, che sbaglia, innanzitutto, nella coscienza della realtà.
14. La lama della libertà. La libertà è come una lama che taglia il bene e il male, che separa il vero dal falso: senza questa scelta l’uomo non sarebbe libero. Nella dinamica della conoscenza, la libertà sta in agguato per tagliare in due l’esperienza, separando la conoscenza dall’affetto. Ciò accade per la contraddizione del peccato originale, da cui solo la presenza di Cristo libera l’uomo. Tale liberazione si dimostra nel tempo, quanto più l’uomo vive con semplicità e sincerità di cuore.
VI La dinamica del segno
15. Il punto di fuga. Lo sguardo della ragione sulla realtà scopre, tra tutti, il fattore più interessante, ovvero «il punto di fuga». Come nel Preludio La goccia di Chopin: apparentemente la bellezza è determinata dalla melodia dominante, ma la reale attrattiva è nella nota che, ora crescendo ora diminuendo, è presente in tutto il pezzo. Allo stesso modo, tutto il colore della vita sembra essere nell’apparenza, ma il tema della vita non è quello. Quel che l’uomo vuole e aspetta è piuttosto rappresentato da quella nota costantemente presente che è il desiderio della felicità, che rimanda a quel punto di fuga. La mossa dettata dal desiderio di felicità è una domanda. Proprio perché è inesauribile la sete del cuore, la più grande concretezza dell’esistenza è il domandare. Cristo è la risposta a questa esigenza e si propone come un avvenimento da verificare.
16. La tentazione dell’apparenza. Il preconcetto blocca la dinamica della ragione. In esso si condensa l’inizio della tentazione più grande dell’uomo: quella di farsi Dio. Dal momento in cui vuole rassicurare se stesso, trovando qualcosa in cui Dio non c’entra, l’uomo ha il terrore di uscire dall’apparente. Quando l’identificazione tra realtà e apparenza diventa bruciante dal punto di vista del sentimento, è difficile che l’uomo non cada: l’onda del sentimento non è percepita come apparenza, quale essa sia, bensì tende a identificarsi con la ragione del vivere, facendo naufragare l’io. Espressione della tentazione dell’apparenza è il materialismo. Per aiutare gli uomini a superare questo handicap senza speranza, Dio è dovuto diventare uomo: il cristianesimo è un avvenimento, che chiunque può riconoscere.
17. Inevitabili rimandi. Il miracolo è un fatto sperimentabile che rimanda inevitabilmente a Dio. L’uomo guarda il mondo e da questo sguardo è rimandato a un’altra cosa, perché tutto ciò che c’è non ha in sé le ragioni sufficienti per spiegarsi. È la realtà che impone l’affermazione di Dio: il cosmo è il primo miracolo che costringe ad ammettere l’esistenza di Dio. Il miracolo è percepito come tale da chi vive il senso religioso, cioè da chi vive una simpatia per Dio, un’apertura del proprio essere a Dio. Dio ha scelto come metodo di rapporto con la sua creatura la familiarità suprema con essa e si è incarnato in Cristo. Il frutto di questa familiarità è documentato dalla vita del santo, l’uomo vero.