Introduzione: il «sì» di Pietro. Lo stupore degli apostoli verso Gesù era un giudizio che li attaccava a Lui con «manate di colla». La decisione per Cristo, così come per qualsiasi altro rapporto, non è un atto volontaristico, ma una simpatia piena di razionalità.
I Un incontro eccezionale
1. Un incontro, forma di tutti i rapporti. L’incontro con Cristo diventa forma di tutti i rapporti determinando il giudizio di valore e, di conseguenza, la modalità affettiva verso tutto ciò in cui ci si imbatte. Perciò la questione principale è la fedeltà al rapporto nato dall’incontro, che può coesistere con l’incoerenza di immaginazione e di azione.
2. Riandare al primo incontro. Il rapporto personale con Cristo precede la compagnia e ne è la sorgente. È quindi necessario non soffermarsi sulla compagnia, ma assecondare la sua spinta a guardare in faccia Cristo, a leggere e vivere il Vangelo come presente. Allora si sente la necessità del sacrificio, cioè di guardare l’altro nella memoria di Cristo, perché i rapporti della compagnia siano veri. Ciò che spinge al sacrificio non è Gesù, ma il desiderio che il rapporto sia vero, cioè eterno: quanto più uno ama, tanto più ha necessità di sacrificio.
3. Come un film. Se il Vangelo fosse un film, la prima scena mostrerebbe Giovanni e Andrea a casa di Gesù, che Lo guardano parlare (Gv 1, 35-39): l’impatto con una realtà umana eccezionalmente corrispondente. L’ultima sarebbe la domanda di Gesù a Pietro: «Simone, mi ami?» (Gv 21, 15-19): l’impatto con una realtà umana talmente corrispondente da essere più forte dell’errore, la misericordia. Tra il primo e l’ultimo quadro si snoda un filo ininterrotto d’amore per Colui nel quale è attuato ciò che in noi è esigenza del cuore: e questo amore «si dimostra nella sua nudità proprio all’ultimo, quando tutti hanno tradito»: la misericordia supera senza paragoni la nostra misura.
II Genesi esistenziale di una moralità
4. Cento assassinii. «Avesse fatto cento assassinii, san Pietro non poteva rispondere che “sì”» alla domanda «Mi ami?» di Gesù: non si trattava di una decisione, ma di una risposta inesorabile generata dalla simpatia nata nei tre anni passati con Lui. «Il rapporto con l’Altro è definito dalla parola semplicità», così che uno potrebbe commettere cento assassinii ed essere morale, cioè semplice: pentendosi ogni volta del suo peccato e restando aperto al rapporto con Chi lo salva. L’oggetto dell’educazione morale è «che il cuore sia semplice, molto più che non si abbia a peccare». Semplice è chi non introduce né difende un fattore estraneo all’esperienza: questa è la posizione che permette di godere il centuplo.
5. Seguendo uno sguardo. Il dialogo, particolarmente ricco di battute scherzose, tocca vari argomenti, tra cui la politica, la speranza, la figura di san Giuseppe. Su dogma e morale: non si può voler bene senza la purità di una ragione che affermi con certezza la positività dell’essere. Il dogma è espressione d’amore, perché il primo amore verso una persona è che conosca e operi il vero. La morale è tensione al vero, «è la conseguenza di Cristo che dice a Simone: “Simone, mi ami tu?”». Seguendo questo sguardo di Cristo nel tempo emergono i valori morali, che descrivono la tensione al vero.
6. Riconoscimento, non decisione. Il «sì» di Pietro alla domanda «Mi ami?» di Gesù chiarifica la dinamica della libertà: è il riconoscimento inevitabile della Sua verità umana, non una scelta. La responsabilità personale è nella semplicità di stupirsi di fronte a una presenza che mostra la propria eccezionalità nella misericordia. Appartenendo a Lui si può amare tutto come Lui lo ama, cioè essere padri.
7. Ascoltare è desiderio. «“È, se cambia”: Gesù è, [...] se diventa contenuto della nostra mendicanza; e io sono se faccio diventare Gesù contenuto della mia mendicanza». Ascoltare, infatti, è mendicare e seguire, come il bambino ascolta il padre con la bocca spalancata e desidera imitarlo. Il «sì» di Pietro è paradigma di questo atteggiamento, che diventa evidente nel rapporto io-tu vissuto nella verginità.
8. «Lietamente ti ho offerto tutto». Il «sì» di Pietro nasce da una storia, presente in un’appartenenza: per l’amore che Gesù aveva per lui, Pietro gli si è attaccato. Perciò la nuova moralità investe tutta la persona, non si limita al riconoscere ciò che è giusto e all’agire in funzione di esso. L’espressione più semplice di un atto che sia totalizzante, e non solo espressione della forza di volontà, è l’offerta. L’appartenenza a Cristo, che è la totalità e la verità, non può mai significare l’abbandono di qualcosa: si tratta di un possesso più grande, che tuttavia implica una croce più grande.
III Dire tu a Cristo
9. «A me pare che non cerchino Cristo». Il titolo riporta un’osservazione sui Memores Domini fatta a Giussani da una di loro, ed è il tema del dialogo. Se la compagnia non è vissuta come segno, insoddisfatta approssimazione analogica a Cristo, essa non basta all’io né è possibile voler bene davvero. Quanto più si vuole bene, tanto più c’è un’esasperata tensione della compagnia a gridare il nome di Cristo. Senza tendere a Cristo, invece, non si capiscono la preferenza, la moralità e il dolore del peccato, che genera amore a Lui.
10. «Lei è come un padre». Il dialogo prende spunto da un episodio accaduto a Giussani: tornando a casa a piedi è fermato per sette volte da persone che lo ringraziano dicendogli «Lei è come un padre per me». A tutti replica: «Pochi minuti fa eravamo niente l’uno per l’altro. Ora tu saresti disposto a dare la vita per me, e io per te». «Questo è Gesù: una presenza che, attraverso di me, diventa presenza». Senza capire e far memoria di questo il cristiano è «l’innocuo pretesto di una cosa gigantesca», mentre avendo presente Gesù, offrendoGli la circostanza, si è protagonisti.
11. Cuore di Gesù. La sicurezza in qualsiasi lotta è un punto fuori di essa, Gesù come fattore della realtà presente. Ma se Gesù è concepito in modo astratto e artificioso, il pensiero di Lui incupisce invece di allietare (per esempio, il Sacro Cuore può essere immaginato grottescamente come muscolo del petto o inteso come metafora del Suo sentire). «Ciò che ci farebbe essere meno uomini, cioè ciò che ci renderebbe astratti o addirittura grotteschi [...] nell’esperienza che un uomo fa del contesto in cui è, non è il modo di rappresentarci la presenza di Cristo»: le leggi naturali dell’intelligenza, della moralità e della fantasia devono dettare anche il modo di concepire Lui.
12. Questo «sì» e basta. Il centro del dialogo si riassume in questa sfida di Giussani ai presenti: «Perché opponete quello che voi non avreste a quel che io avrei? [...] Io ho questo sì e basta, e a voi non costerebbe neanche una virgola di più di quello che costa a me». Il «sì» di san Pietro non gli è costato coraggio: è stata l’espressione della sua semplicità. «La moralità incomincia dal fatto che uno s’accorge di non poter dire se non “Sì, ti amo, sono con te, capisco che ti appartengo”».
13. «Vieni!». Si vorrebbe essere amati perché si vale, ma in questo modo «Cristo diventa come il premio a un gioco già vinto». La santità, al contrario, è dire «Vieni!» al Signore anche nel bruciore della propria manchevolezza. La libertà, originalmente, si esprime come domanda di accettare di essere amati. E la stessa domanda è già un miracolo.
14. L’affetto che principalmente sostiene. Quando si riceve una correzione non bisogna pensare a se stessi, ma al «Tu» che si è svelato come misericordia, e invocarne il soccorso. Cercare di salvaguardare qualche propria capacità è come dire «Tu, però...», mentre il «Tu» ha un valore totalizzante, e solo con esso è possibile una nuova concezione delle cose.
IV Il nome storico della misericordia
15. Il Mistero diventa un volto. Cambiare significa riconoscere il Mistero che perdona. Ma «il Mistero non può essere preso in considerazione se non diventa un volto»: Gesù Cristo. GuardarLo significa guardare, appartenere «all’insieme di persone con le quali Lui si è immedesimato. [...] Allora, è partecipando e vivendo la nostra unità che uno cambia».
16. Misericordia Domini plena est terra. «Dio, per noi, è misericordia, altrimenti non è», l’uomo peccatore ha infatti due possibilità: o si scandalizza del proprio sbaglio, e finisce per dimenticarlo e giustificarlo; oppure riconosce che Dio è tutto, fino a essere misericordia. È dalla gratitudine di questo riconoscimento che scaturisce il desiderio di cambiare e, più ancora, la passione che il mondo conosca Cristo, il nome storico della misericordia. «Questo è il valore della verginità come forma di vita», mantenuta nonostante tutti gli sbagli: testimoniare che Cristo è la verità ed è misericordia.
17. Tentativi ironici. «Il rapporto con Gesù è l’unico fenomeno in cui non esiste la matematica», vale a dire la misura dell’esito delle proprie azioni. L’impegnarsi non persegue un proprio progetto, ma deriva da un amore che si esprime in tentativi ironici, cioè affidati nella loro imperfezione alla misericordia dell’altro. Quest’ironia su se stessi − che è il contrario del prendersi in giro − permette sia di non disperarsi per la propria incapacità, sia di perdonare gli altri che sbagliano, senza patirne scandalo.
V L’utilità di Cristo per il mondo
18. Un punto di partenza. Gesù, che è il destino dell’uomo, si propone alla sua libertà provocandola non a un gesto eclatante, ma alla semplicità del riconoscerlo nella domanda di Lui. Quando questo riconoscimento avviene, il rapporto dell’uomo con il mondo è reso più umano: più facile, più gioioso, più capace di perdono. Attraverso la sua utilità per il mondo, ciò che sembrava più astratto si rivela dunque più vero e reale. Una proposta di Cristo e della Chiesa che non avesse incidenza umana sarebbe invece inutile.
19. Cristo salva la ragione. Cristo è l’ideale della vita perché ha risposto sempre «sì» alla volontà del Padre, anche nelle circostanze in cui era dominato dalla paura e dalla tristezza. L’imitazione di Cristo consiste nel dire «sì» al Suo amore e nel domandarLo anche in mezzo alla tentazione e all’incoerenza. Riconoscere Cristo coincide con l’essenza della libertà e salva la ragione. Nell’esperienza, infatti, l’uomo riconosce la presenza di un fattore misterioso, che non può conoscere, proprio come non si può conoscere il «tu» dell’altro senza che si riveli. La fede salva perciò la ragione, perché afferma l’esistenza di quel fattore (invece che obliterarlo) e inizia a svelarne il contenuto.
20. L’equilibrio è un’unità. L’equilibrio è una caratteristica propria dell’esperienza cristiana: si tratta di una ricchezza di perdono che salva la miseria dell’uomo, di una ricerca dei beni eterni che non dimentica, ma usa di quelli terreni, dell’amare Cristo in tutto ciò che si ama come uomini, dell’abbandono di abbandonarsi come un bambino nelle braccia del padre. L’equilibrio è quindi un’unità: una caratteristica del volto cristiano, non di questo o quel particolare.