Gioventù Studentesca 1954/55 - 1964/65
Verso la metà degli anni Cinquanta, da una parte la società italiana era tesa ad un impegno ideologico-politico immemore dei sacrifici della Resistenza, dall’altra si affermava il principio della libertà di coscienza, secondo la quale i giovani non erano chiamati a verificare la propria tradizione culturale, ma per poter giungere ad una verità imparziale dovevano documentarsi sui più disparati pensieri. In questo clima Giussani si rese conto, in un viaggio in treno, parlando con alcuni giovani, che questi erano profondamente ignoranti della Chiesa. Da allora decise di dedicarsi a riportare la presenza cristiana nella scuola italiana, iniziando dal Liceo Berchet di Milano.
In quegli anni la Chiesa stessa non comprendeva l’importanza del problema educativo, e andava avanti forte della partecipazione di massa al culto cattolico. Anche le manifestazioni di massa delle associazioni cattoliche spesso erano gesti superficiali, dimentiche delle proprie radici, senza valore educativo. Quando Giussani rilevò queste critiche trovò opposizione da parte di alcuni dirigenti cattolici, ma altri appoggiarono il suo tentativo di introdurre un metodo educativo.
Nella cultura laica si rafforzava un’intolleranza verso il cristianesimo e i Professori predicavano un pensiero anticristiano ponendosi di fronte alla religione con atteggiamento preconcetto. I laicisti degli anni Cinquanta propugnavano una vera e propria crociata anticattolica. Dall’altra parte gli insegnanti cristiani sostenevano la separazione tra potere temporale e religioso, e questo accadeva proprio a Milano, nella sede dell’Università Cattolica. Giussani si chiese perché l’associazionismo cattolico non influenzasse culturalmente gli ambienti del vivere quotidiano come fabbriche, uffici e scuole. Egli si accorse che nella scuola la fede, anche tra chi apparteneva alle associazioni cattoliche, non diventava mentalità cristiana. Il suo tentativo fu quello di porre rimedio a questa crisi riportando la presenza cristiana negli ambiti della quotidianità e prendendo le mosse dalla “Gioventù Studentesca”. Inizialmente questo nome indicava il gruppo di studentesse della gioventù femminile dell’Azione Cattolica, opposto al versante maschile detto “Movimento Studenti” perché ad ognuno dei due settori competeva una speciale cura d’anime secondo i sessi, le età e le professioni. Questa pedagogia sembrò da subito a don Giussani non tener conto dell’unitarietà della persona, perché l’ideale è il compimento dell’esperienza umana, non gli aspetti stessi dell’umano come la femminilità, la virilità o la professionalità. Dunque dalla fusione di due strutture oratoriane nacque l’iniziativa di Gioventù Studentesca.
Sul pianerottolo del Berchet si raccoglieva sempre un gruppo di ragazzi chiamati i comunisti e Giussani si domandò perché i cristiani non fossero capaci della stessa unità; perciò fermò quattro ragazzi cristiani chiedendo perché a scuola nessuno si accorgesse che lo fossero. Da allora a scuola non ci fu argomento più discusso della Chiesa. Prima di questo fatto mancava il coraggio di annunciare la sostanza della proposta cristiana: l’essenza del fatto cristiano è l’annuncio di Cristo e questo si vive in una vita di comunità, nella Chiesa. Il progetto di Giussani non era qualcosa di elitario, ma il tentativo di affrontare i problemi dell’uomo dal punto di vista cristiano.
Apparve subito evidente come l’aderire all’annuncio di Cristo fosse grazia in cui l’uomo era chiamato a mettere in gioco la propria libertà. Quindi GS attirava i giovani perché la loro umanità veniva presa sul serio ed incoraggiata; non c’erano fini politici, ma si lottava per la libertà di educazione.
In anni in cui la Chiesa faceva grandi spese per dotare i Centri parrocchiali di strutture che attirassero i giovani, senza però poi offrire loro una reale proposta di vita negli oratori, GS proponeva innanzitutto la decisione di vivere il Fatto di Cristo come decisivo per l’esistenza. In secondo luogo suggeriva di mettersi insieme perché quella decisione venisse capita e fosse significativa per chi vi aderisse. Ben presto GS divenne una realtà di massa numerica non solo a Milano, e turbava i laicisti il fatto che all’interno della scuola fosse presente sempre di più una coscienza cristiana. Inoltre era una novità il fatto che la dimensione comunitaria aprisse la possibilità di conoscere, rendendolo possibile, un livello etico impossibile da perseguire all’individuo che si concepisce solo.
Il luogo della verifica della tradizione cristiana fu da subito l’esperienza, intesa come quel complesso di esigenze ed evidenze originarie di cui è fatto il cuore dell’uomo.
Alcuni autori sono stati importante ispirazione culturale per le tesi di GS: san Tommaso e sant’ Agostino, Moeller, Newman, Przywara, Guardini, De Lubac, Peguy, Claudel, Bernanos, Gabriel Marcel. E poi ancora don Primo Mazzolari, don Milani, ma anche ad un certo punto Gramsci e Lukacs. Per quanto riguarda le modalità con cui si stava insieme, ci si metteva uniti attorno a Cristo nella verifica della tesi paolina del corpo Mistico.
Le persone erano invitate a concepire i propri bisogni come parte di una comunità in un confronto con le figure più autorevoli e mature; in questo senso il raggio era il momento più significativo. Anche la parola “raggio” trae origine dalla terminologia dell’Azione Cattolica: era il momento in cui gli studenti dell’AC preparavano una testimonianza per convincere altri ad aderire all’associazione. Il raggio di GS invece era una riunione in cui ciascuno dei ragazzi era chiamato a paragonarsi con un problema umano (suggerito da un volantino che riportava l’ordine del giorno), testimoniando agli altri la propria esperienza. Alla fine la persona più autorevole che guidava l’assemblea faceva una sintesi degli interventi per rispondere alle domande dell’ordine del giorno.
Il raggio non era una semplice psicoterapia di gruppo perché, avendo come punto di riferimento la realtà esistenziale della Chiesa, costituiva un annuncio di positività per l’individuo.
Ma la vita del giessino non si esauriva nell’ora del raggio. Gli studenti di GS vivevano un’intensa vita di preghiera: la recita delle ore, il ritorno alla Messa e la meditazione quotidiana a partire da un libro, anche per saper dialogare con chi propugnava la mentalità laicista dominante. Anche l’aiuto allo studio divenne un’iniziativa fondamentale. Nacque il teatro tascabile milanese, con i cantautori religiosi. Gite e vacanze erano momenti privilegiati in cui approfondire la verifica di quella proposta di socialità cristiana. Altri gesti importanti erano il convegno annuale di inizio d’anno, il triduo pasquale e infine gli esercizi spirituali. GS fu il primo movimento cattolico in cui la comunità non fosse divisa per sessi, e la cosa suscitò scalpore nelle associazioni tradizionali. Ma Giussani arrivò a ciò perché il fattore predominante era l’unità di tutti nel corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, più che le differenze psicologiche tra maschi e femmine: dal punto di vista morale Giussani ha sempre sottolineato la tensione all’ideale più che tracciare uno schema moralistico delle convenienze tra uomini e donne.
GS ha sempre vissuto tre dimensioni espressive: cultura, carità e missione. La cultura intesa come tentativo di esprimere criticamente un’esperienza di vita nella sua globalità, cioè quella dell’attaccamento alla verità attraverso la criticità: «Vagliate ogni cosa e trattenete ciò che vale» (san Paolo). Alla dimensione della carità si era educati per condividere i bisogni dell’uomo attraverso la caritativa, come quella di aiuto alle famiglie socialmente depresse della Bassa milanese. La dimensione della missione venne sostenuta dal fondo comune: ogni ragazzo versava una decima a cui si attribuiva il valore educativo del fatto che ciò che si ha non è solo proprio, ma è per condividere un bisogno sociale.
A quei tempi si diceva che GS fosse totalmente carente di capacità politica; oggi invece si accusa il Movimento di essere solo una realtà politico elettorale. Ma a dire il vero, allora come oggi, CL è esclusivamente un movimento ecclesiale, che ha come unico scopo quello della verifica personale della fede cristiana. Le implicazioni politiche però si sono rese evidenti subito nel problema delle associazioni di istituto: inizialmente si aderì, ma poi si comprese che il tempo libero doveva essere dedicato a verificare se la fede vale o meno. Per diventare maturo il giovane deve verificare un’ipotesi tradizionale che gli viene proposta da un adulto che l’abbia già sperimentata; così la tradizione cristiana passa attraverso l’autorità della Chiesa e nella Chiesa il giovane può verificare come Cristo risponde alla sua esigenza di uomo. Questo metodo di conoscenza, che parte da un’ipotesi sul reale, produce nell’adulto una grande lealtà che lo porta a riconoscere se la supposizione iniziale è in grado di rispondere alle sue esigenze. L’autorità è dispotica se 1) non rispetta la tradizione di chi ha davanti; 2) quando non è protesa a obbedire al disegno di Dio. Il giovane non segue 1) se non giudica criticamente; 2) se segue parzialmente le condizioni della proposta.
GS si è sempre opposta alle associazioni studentesche che vedevano solo nello Stato la legittimazione per qualsiasi esperienza di unità di base, perché ha sempre visto lo Stato come un semplice supporto tecnico ad una esperienza reale di unità tra uomini. All’interno delle associazioni studentesche però ci si chiedeva di non tenere in considerazione l’identità cristiana di GS, negando il pluralismo alla base della democrazia; del resto a GS non interessava entrare in un’associazione per diventare una maggioranza cattolica perché l’unico interesse era che l’associazione si fondasse su valori umani accettabili da tutti. Nel caso “Zanzara” e nella polemica con il Piccolo Teatro si è voluto far emergere il tentativo di lasciar spazio, all’interno degli organi scolastici e culturali, anche a iniziative distanti da convinzioni marxiste e laico radicali, come quelle di matrice cattolica.
La crisi 1965-1969
Nel 1964-65 Giussani lasciò il Berchet, e poco dopo iniziò una crisi che per parecchio tempo tormentò CL. La promozione a docente universitario lo gratificava, anche perché gli dava la possibilità di seguire i ragazzi che erano usciti dal liceo. La crisi esplose in seguito al venir meno della coscienza che Cristo è un avvenimento e che è il solo a poter dare speranza. Coloro che lasciarono GS invece riducevano il cristianesimo ad una forma di impegno sociale. Quando poi incominciò il ’68, la crisi interna si aggravò; anche quelli di GS che partirono in missione per il Brasile facevano parte di questo gruppo generoso e attivista che però non aveva compreso la dimensione religiosa dell’esperienza di GS, e infatti da là se ne tornarono tutti a casa.
Nel 1968 Giussani insisteva nel sostenere che era necessario approfondire lo sviluppo della propria identità cristiana anziché investire sulla militanza politica. Rispetto alle ideologie del ’68 GS riconosceva il grido di libertà contro l’autoritarismo, ma voleva anche testimoniare che la strada per rispondere a quella esigenza doveva nascere da una comunione ecclesiale. Purtroppo però questa posizione non fu incisiva perché mancava di un adeguato sviluppo culturale. Ad aggravare la situazione c’era il fatto che i responsabili di GS, che ormai erano all’università, si misero a seguire istanze ideologiche. Questo slancio fu numericamente significativo, al punto che, al termine della crisi, GS era dimezzata. Molti poi rientrarono, ricominciando uniti nella Chiesa e fedeli al Fatto cristiano. A partire da questo desiderio GS si staccò dalle istituzioni cattoliche a cui fino ad allora era rimasta legata, non per presunzione, ma perché aveva bisogno di richiamarsi al cuore del dogma cristiano; anche perché, da quando il peso della Fuci prevalse all’interno dell’Azione Cattolica, per GS svanì una possibilità di dialogo, e questo accadde proprio nel 1965, anno del riconoscimento ufficiale del Movimento. I contrasti con l’Azione Cattolica erano dovuti al fatto che la nuova esperienza nelle università metteva in crisi la rigidità dello schema delle competenze su cui l’associazione si fondava. Quando la Fuci chiese agli universitari di GS di diventare Fucini, essi rifiutarono perché il tipo di cultura della Fuci era molto diversa e i giessini sarebbero stati occasione di sconvolgimento essendo molto numerosi. Perciò si generò purtroppo un malevolo pregiudizio nei riguardi di GS, che successivamente si trasformò in un contrasto di natura politica, in quanto la posizione della Fuci di quegli anni distingueva la sfera spirituale da quella temporale, mentre GS sosteneva un modo di porsi totalmente unitario.
Tutti coloro che hanno abbandonato il Movimento in quegli anni per ragioni ideologiche, se ne sono andati perché non condividevano la tesi di fondo che l’annuncio del Fatto cristiano è l’origine della liberazione. Gli errori del Movimento hanno contribuito a generare un distacco, ma l’affezione che Giussani nutriva per i vecchi amici gli ha fatto sempre sperare di tornare a camminare insieme. Anche perché il dialogo è spunto per una correzione degli errori del Movimento stesso, dato che la fede non si fonda su ciò che si fa e che si ha fatto, ma sul Mistero della presenza di Cristo nella Chiesa.
Comunione e Liberazione 1970-1975
Nel 1969 gli universitari del Movimento cominciarono a usare il termine Comunione e Liberazione, che andò poi a soppiantare quello di Gioventù Studentesca. La nuova denominazione indicava l’impegno nella liberazione del mondo a partire dall’avvenimento della comunione cristiana, che nasce da Dio fattosi uomo, legato all’unità degli uomini a cui si è fatto incontro nel Battesimo. Ed è l’unità nel mistero di Cristo che abilita all’impegno per la liberazione del mondo. Uno dei temi fondamentali fu il problema del rapporto tra Chiesa e mondo perché l’unità dell’esperienza cristiana porta il soggetto a percepire più di altri la totalità dei fattori presenti nella realtà.
Anche il valore delle parrocchie avrebbe dovuto essere missionario, cioè essere presente in tutti gli ambienti di lavoro e studio. Invece in quegli anni l’ambito parrocchiale era una realtà sempre più chiusa. Negli anni 70-75 molti vescovi avrebbero desiderato che CL sostituisse l’Azione Cattolica, ma Giussani non condivideva tale posizione, perché il suo interesse era solo che venisse affermata l’autenticità dell’avvenimento cristiano, senza propensione all’affermarsi della propria organizzazione. Piuttosto Giussani accusava liberalismo e marxismo di non saper cogliere il senso religioso, unica dimensione del bisogno intero e reale dell’uomo. Anche in alcuni ambiti cristiani questo punto di partenza veniva spesso ignorato, tentando di risolvere i problemi dell’uomo partendo da criteri mondani. Ma al di fuori del rapporto con Cristo c’è solo rassegnazione. La prima dimensione da cui partire è la cultura della certezza di un comune destino positivo: solo così emerge il rispetto per tutti i tentativi di cammino, protesi a riconoscere il valore di ogni esperienza, pur rischiosa che sia. La seconda dimensione è la carità in quanto riconoscimento dell’amore che Dio ha per l’uomo, e dunque della permanenza di Cristo nella storia della Chiesa. Per questo la carità spinge ad essere tesi a realizzare l’unità con tutti gli uomini. Anche la dimensione missionaria è stata approfondita nel corso degli anni. É sempre parso chiaro che la missione non è solo in terre lontane, ma è anche qui nella vita di ogni giorno, perché la fede è data affinché venga comunicata agli altri. Infatti, nonostante l’abbandono di massa della missione in Brasile negli anni Sessanta, Pierluigi Bernareggi vi rimase divenendo prete diocesano a Belo Horizonte, e dopo qualche anno riorganizzò la nostra presenza in quel luogo.
É sempre apparso evidente come in CL l’esperienza pedagogica sia un fattore permanente della vita umana e la maturazione dell’uomo avvenga tramite un paragone critico con la tradizione.
Rischio del paragone, pazienza, libertà personale e rispetto di questa libertà sono i fattori dell’esperienza pedagogica.
Negli anni Settanta anche la Chiesa era persuasa del predominio del laicismo. L’incontrastato sviluppo del laicismo ha aperto le porte all’ascesa del PCI, perché il marxismo leninista era l’estrema coerenza del radicalismo laicista. In quegli anni i cattolici tralasciarono gli obiettivi culturali sulla base di un incremento educativo, concentrandosi su altro. E mentre radicali e marxisti investivano sulla scuola, i cattolici si disinteressavano di tutti gli strumenti che educano le masse: cinema, tv, stampa. Il risultato è che tutta l’educazione di questi decenni era dominata dal marxismo e dal radicalismo, carichi di tutta la loro ostilità anticristiana. I cattolici invece avevano il dovere di impegnarsi, attraverso una vita ecclesiale consapevole, a testimoniare un’unità popolare. Anche l’interesse della stampa per la Chiesa rientrava in un progetto di strumentalizzazione. Non è vero che il potere era in mano alla Democrazia Cristiana, perché all’influsso culturale radicale e marxista si aggiungeva l’appoggio loro offerto dal grande capitale industriale e finanziario.
L’accusa di integrismo nei confronti di CL era una delle più frequenti, a causa dell’unità profonda secondo cui si concepiva nel Movimento il nesso tra Chiesa e mondo. Ma di questa concezione non veniva compresa la natura profonda, che sta nel fatto che la fede investe la totalità del soggetto e quindi anche le sue azioni. Ciò a cui CL mirava era il riconoscimento della presenza del mistero di Cristo tra gli uomini, che trova un suo segno visibile nell’unità dei credenti. Il fulcro di questo metodo è la comunità guidata da un’autorità. Lo strumento principale di questo lavoro era la scuola di comunità, lezioni che partivano dai temi che la CEI proponeva annualmente. Ognuno era invitato a meditarci quotidianamente.
L’esperienza del Movimento Popolare nacque perché una comunità cristiana autentica tende ad avere una sua idea e un suo metodo di affrontare i problemi umani; in questo senso ha anche un risvolto politico. La militanza politica delle persone del Movimento è frutto di una scelta personale. CL non ha mai dato nessuna delega ai militanti impegnati nella vita politica. Evidentemente la comunità, di fronte all’urgenza di salvare valori fondamentali, sollecita alla militanza politica chi ne abbia l’attitudine. Si poteva aderire all’MP e non essere di CL o viceversa. L’MP si proponeva di aggregare persone interessate a lottare per lo sviluppo di valori tradizionali a cui l’esperienza cattolica rende sensibili. Non era un partito politico, anche se si è ritenuto opportuno che i suoi aderenti partecipassero alla DC perché questo sembrava l’unico partito che non negasse i valori sostenuti dall’MP. I militanti di CL che sono entrati nella DC l’hanno fatto per ridare vita all’anima cattolica popolare del partito.
Comunione e Librazione 1976-1986
CL si trovò ad aderire, per obbedienza all’autorità ecclesiastica, alla fallimentare campagna per il referendum abrogativo del divorzio. Questo gesto di obbedienza contribuì a far maturare nel Movimento la coscienza della propria identità cristiana, e l’episcopato si rese conto di quali erano nella Chiesa le forze davvero disponibili a mettersi in gioco. L’impegno di CL anche nella campagna elettorale del 1975 indusse il grande pubblico a identificare il Movimento come una forza politica, attirando le reazioni dell’ultra sinistra. Tra il 1975 e il 1976, si registrarono più di centoventi attentati a sedi di CL e la devastazione degli uffici della Jaka Book.
Nel 1975 Paolo VI lanciò un appello per riunire i giovani in preghiera in piazza san Pietro, e si avvide del fatto che c’era una forte presenza di ciellini. Per questo incoraggiò Giussani a proseguire su quella strada. Tuttavia la tensione tra il polo culturale-politico e quello spirituale è permanente nel Movimento. Il momento in cui l’unità tra queste due anime si esprime meglio è il Meeting di Rimini.
Il Movimento si è diffuso anche all’estero, e questo espandersi è il frutto del miracolo di incontri personali, perché la sostanza di ciò che interessa è un’esperienza possibile a tutti. Quando l’esperienza del Movimento invece viene usata per un personale progetto politico significa che è carente la vita di comunione e la povertà di spirito nei confronti del potere. In questo decennio è cresciuta la valenza culturale della vita della gente e si sono consolidati i centri culturali attivi. Ma non si deve perdere di vista il senso del fare esperienza: l’uomo fa esperienza se, nell’impatto con la realtà, riconosce un’appartenenza. Nell’appartenenza ad un Altro l’io si apre a tutta la realtà. Il cristiano, nel riconoscere la sua appartenenza a Cristo, ha grande responsabilità nei confronti del tempo e della storia. Riguardo alla carità, in questi dieci anni si è presa più coscienza che essa è condivisione gratuita del bisogno, a imitazione dell’incarnazione di Dio. Per questo sono nate ad esempio le famiglie per l’accoglienza o l’AVSI.
Per quanto riguarda l’impeto missionario, si è rafforzato da quando nell’84 Giovanni Paolo II ha invitato gli aderenti a CL ad andare in tutto il mondo, e da lì sono partiti diversi sacerdoti e molti studenti per fondare piccole comunità.
Giussani sosteneva che il suo ruolo nei confronti di CL fosse una paternità e che chi partecipava con lui alla guida del Movimento era chiamato ad andare più a fondo di quanto egli stesso fosse capace. Rispetto alle gerarchie egli preferiva correre il rischio del dispotismo piuttosto che altri, e poi comunque il procedere del Movimento è frutto dell’insieme delle esperienze dei singoli, impegnati in comunione nelle fraternità.
Ma più si procede nel tempo, più è in pericolo la libertà dell’individuo, perché la cultura politica punta ad una maggior crescita del potere reale come all’unica via di salvezza. Per uscire da questa situazione CL si impegna in un lavoro di presa di coscienza di questa confusione culturale. Nella lotta contro il tiranno la Chiesa è chiamata a diventare la salvezza dell’umano, e per questo CL segue il messaggio del Papa. Peraltro, nei primi anni Ottanta, la salita al soglio pontificio di Giovanni Paolo II ha reso il rapporto tra Movimento e Santa Sede molto intensi, fino al riconoscimento ufficiale della Fraternità di Comunione e Liberazione. All’origine della Fraternità c’è il bisogno di darsi delle strutture stabili sul piano della vita spirituale e dell’operosità sociale. I tratti dei gruppi di confraternita di base sono questi: 1) l’essere frutto di un libero e spontaneo aggregarsi sulla base di legami di amicizia; 2) avere come scopo il sostegno vicendevole nella vita intesa come cammino verso la santità; 3) ogni singolo gruppo deve darsi una regola che preveda un impegno di preghiera, il contributo al fondo comune a cui attingere per il bisogno del Movimento, l’accettazione degli orientamenti della diaconia centrale, l’impegno in un’opera comune come attuazione specifica dell’opera del Movimento.
La Fraternità è stata concepita proprio come richiamo e stimolo alla responsabilità che ogni adulto deve avere nell’impostare la sua vita. Una prima forma era stata eretta nel 1980 dall’abate di Montecassino nella solennità di San Benedetto, perché CL ha sempre sentito la propria ispirazione cristiana come vicina al mondo benedettino e San Benedetto continua ad essere figura ideale per tutti i membri della Fraternità. Un altro avvenimento sempre più fondamentale dagli anni Ottanta è il Meeting di Rimini. Giovanni Paolo II ci indicò che lo scopo del Meeting è collaborare ad edificare una civiltà che nasca da verità e amore.
In quegli anni si sono consolidate anche le comunità di CL nei paesi stranieri. Ad esempio in Uganda il Movimento divenne un fenomeno di rilevanza nazionale, e in Brasile come in Cile. Non di meno nei paesi di lingua tedesca e negli Stati Uniti, grazie alla presenza di docenti, studenti, nonché grazie all’avvallo di autorevoli teologi come lo stesso von Balthasar. Allo stesso modo CL si è diffuso in Inghilterra e in Irlanda.
Col passare degli anni i giovani di CL sono diventati adulti, e questo ha determinato un moltiplicarsi di persone impegnate in attività educative verso i giovani e in particolare nella comunicazione educativa della fede. L’esperienza ha poi confermato l’efficacia educativa del raggio, perché i criteri di giudizio delle esperienze messe in comune al raggio emergono nell’impegno personale con la scuola di comunità, che è una catechesi in cui la verità cristiana dà le sue ragioni e ne sollecita la verifica in un confronto con la propria vita personale. Il Movimento è nato nei licei e nelle università e fino a metà degli anni Settanta ha trovato difficoltà nel muoversi nel mondo del lavoro. Dagli anni Ottanta invece la situazione si è capovolta.
Anche l’associazione “Memores Domini” ha avuto un esito inatteso. Il crescente numero di aderenti conferma che questa forma corrisponde agli ideali della fede e della consacrazione a Dio come può essere vissuta nei nostri tempi. Il Movimento è cresciuto di persone interiormente vigili e capaci di sacrificio, ma a questo numero non vede corrispondere la qualificazione di molti della dirigenza: purtroppo i più tiepidi impediscono ai più fervidi di compiere quello che potrebbero compiere.
In questo decennio Giussani ha avuto diverse conferme: 1) il cristianesimo è l’unica ipotesi capace di liberare l’uomo riportandolo al vero significato dell’esistenza; 2) per sperimentare la presenza di Cristo occorre vivere la comunione ecclesiale come prossimità esistenzialmente incontrabile; 3) la fede comunionale genera uno slancio creativo che si traduce in opere che rispondono al bisogno dell’uomo; 4) è necessario che questa fede continui ad entrare in gioco nell’ambiente in cui uno vive e lavora.
Per quanto riguarda la teologia, essa deve riflettere l’entusiasmo critico della fede. Solo in questo caso è interessante per la vita del cristiano. E per questo CL si è sempre soffermata su teologi come Newman, Moeller, Soloviev, De Lubac, Guardini e von Balthasar, illuminati da questo interesse nello studio per approfondire l’autocoscienza della loro esperienza di fede in atto. Giussani consiglia di leggere, a chi è avvezzo allo studio, gli scritti di De Lubac sulla Chiesa medievale; a tutti gli altri i discorsi di Giovanni Paolo II. Dei suoi scritti egli consiglia la lettura de Il senso religioso, de Il Rischio educativo, di La coscienza religiosa dell’uomo moderno e di Tracce di
esperienza e appunti di metodo cristiano.
Negli anni in cui il cardinal Martini ha guidato la diocesi ambrosiana, l’arcivescovo, dal punto di vista teologico, l’ha collocata sulle tracce della scuola di pensiero rahneriano. Ma il Movimento è rimasto fedele alla sua identità, certo che lo Spirito Santo sa rendere fertile per la Chiesa la coesistenza di due posizioni eterogenee; e ha chiesto al Vescovo, nel servizio ai suoi scopi pastorali, di valorizzare la libertà dei figli di Dio, che è un diritto dato dal Battesimo. Attualmente il rischio maggiore nella Chiesa è la tendenza a considerare Gesù non come un Fatto permanente nella storia, ma come un maestro di umanità a cui guardare. Giovanni Paolo II ha contrastato questa posizione affermando che Cristo è presente qui ed ora e che la Sua presenza cambia il mondo.
In questa prospettiva, la dirigenza all’interno di CL deve diventare adeguatamente matura nel servire la gente del Movimento. Il rischio della leadership infatti è quello di considerare il proprio ruolo come un possesso. Giussani in questo decennio non ha mai ritenuto opportuno ritirarsi dall’azione direttiva del Movimento (non dalla paternità, che è ineludibile); ma sarebbe stato disposto, nel caso qualcuno gli avesse dimostrato che la sua posizione fosse frutto di un attaccamento al potere, a tirarne le dovute conseguenze.