Il testo è un colloquio tra lo scrittore Giovanni Testori e don Luigi Giussani.
Il dialogo prende avvio con Testori che suggerisce vari nomi per la nascente collana. Giussani sceglie di intitolarla “I libri della speranza”, perché la parola speranza aggancia un’attesa primordiale dell’uomo, apre l’attenzione e quindi anche una strada alla risposta.
Il tema del senso della nascita è introdotto da un’osservazione di Testori: in un uomo e in una donna che si amano c’è un momento di “sperdutezza” e di liberazione. Per Giussani la parola “sperdutezza” indica che in quell’istante è all’opera un’altra forza, la forza del mistero di Dio che partecipa alla generazione di un nuovo essere. Il senso della nascita, allora, è la coscienza della propria dipendenza, il sentimento di essere stati voluti dall’amore di Dio che ha chiamato ciascuno di noi alla vita.
Il nostro tempo è caratterizzato dall’assenza del sentimento della nascita. Nei giovani è forte il desiderio di qualcosa che manca, di una presenza che non c’è, che è proprio la presenza della nascita; in loro si osserva l’assenza del sentimento dell’essere stati voluti.
Ciò è dovuto al fatto che i padri e le madri hanno dimenticato di essere loro stessi figli e hanno preteso d’essere loro i padri e le madri. Hanno dimenticato la “sperdutezza”, l’abisso misterioso che li trascinava nel gesto che li univa, e hanno guardato quel gesto e il frutto della generazione come se fosse una cosa loro, nata da loro. Così i figli sono stati messi al mondo senza che venisse comunicato loro il senso di un destino e la gioia di essere figli: è l’assenza religiosa, l’assenza del padre.
È proprio la coscienza di questa implicazione originaria, la dipendenza da un Padre che ci ha chiamati all’essere, ciò che la società in cui viviamo ha volontariamente espulso dalla coscienza normale con cui l’uomo sente se stesso e vede le cose. Non potendo eliminare la realtà originale dell’essere fatti, si è cercato di fare come se non ci fosse, con lo scopo dichiarato di liberare l’io da ogni legame. Ma così facendo il super-uomo è diventato il contrario di sé: al posto della libertà ricercata si è ottenuta soltanto una maggior schiavitù.
Questa dimenticanza dell’essere voluti – a cui si sostituisce la presunzione di volersi da sé – è ciò in cui propriamente consiste il peccato originale. La negazione del Padre è la negazione che la propria consistenza è nell’essere figlio, cioè nell’essere voluto. Si tratta di una dimenticanza, di una perdita della memoria, che ha come esito pratico la violenza e la strumentalizzazione dell’altro, che è la vera maledizione dell’allontanamento dal Padre. Tutto il male nasce dalla menzogna, per cui l’uomo tenta di definire se stesso dimenticando o cancellando dalla propria memoria la propria nascita.
A questo riguardo Testori osserva che nella cultura moderna le espressioni più vere sono quelle che hanno dato l’allarme, che hanno dato testimonianza di un grido e di una disperazione, dell’impossibilità a procedere su questa strada.
Ma – continua Giussani – il momento in cui l’assenza del Padre, l’assenza del senso della nascita è avvertita con maggiore intensità e dolore è anche il momento in cui la presenza può essere riscoperta con forza e intensità nuove. Nei giovani di adesso è ravvisabile un’attesa senza paragone più grande di quella dei giovani delle generazioni precedenti. La fatica di questi giovani, il loro compito – e il compito di chi li accompagna – è quello di colmare il vuoto che c’è stato tra il padre e la madre nel momento della loro nascita, di riguadagnare la coscienza di essere stati voluti, di essere stati fatti da Dio. Perché non si può essere persuasi d’essere stati voluti se non si arriva a percepire il gioco del mistero di Dio dentro la volontà carnale dell’uomo, dell’uomo e della donna. Solo così la gratitudine verso il padre e la madre diventa pura e può essere principio di sostegno, segno di certezza e quindi di speranza.
Diventa allora necessario un recupero della memoria, che ricostituisca la persona e dia spazio alla libertà. Questo è il tempo della rinascita della coscienza personale, del ridestarsi della persona. Perché proprio la persona, che di fronte al meccanismo violento della società e del potere è la cosa più ridicola e insignificante che ci sia, è il punto della riscossa. Sembrerebbe una battaglia persa in partenza, ma su questa fragilità si inserisce la potenza di Dio con la sua promessa.
Il problema capitale è quello di riaccendere la padronanza che la persona ha su se stessa, riaccendere l’evidenza che la propria vita non nasce da sé, non ha sé come destino, ma appartiene a qualcosa di più grande, ed è questo qualcosa di più grande che ci costituisce. È la scoperta del paradosso che io sono un Altro. Non è possibile dire «io» senza dire «tu», senza dire «tu che mi fai».
Ma come fa adesso ad accadere questa ripresa? L’unica risposta è che s’incontri una presenza diversa: il risveglio della memoria avviene in compagnia di uno che vive già questa memoria. Non ci sono altre soluzioni. È dal moltiplicarsi di questi atomi che sorge un movimento; e un movimento è in grado di contestare il meccanismo del potere.
Non si può dimenticare il fatto che l’origine, ciò di cui siamo fatti e da cui dipendiamo è diventata compagnia umana. Il Padre che amandoci ci ha chiamati all’essere raggiunge l’uomo attraverso un segno fisico, che è la compagnia dei suoi seguaci: è questo che rende il suo corpo visibile.
Allora si capisce che la memoria è tutta per la storia, perché il riconoscimento della dipendenza originale fa possedere il mondo, fa percepire se stessi come parte di una trama piena di significati, piena di bontà.