1988
Ridare identità all’umano
I referendum del novembre 1987 impegnarono gli universitari di Comunione e Liberazione ponendoli nuovamente dinanzi alla questione del potere. Più che una crisi della politica si avvertì una decadenza radicale dell’esistenza umana stessa: era sempre più difficile rispondere alla domanda su chi fosse l’uomo. Il cammino di personalizzazione della fede, iniziato negli anni precedenti, venne così ad assumere un compito nuovo: ridare identità all’umano. Ciò che caratterizza questo tempo storico è la violenza. Il risultato è che la persona è concepita semplicemente come un fascio di reazioni. Ciò comporta due conseguenze: in primo luogo l’io risulta dissociato, cioè ragione e affezione sono slegate; in secondo luogo dominano la paura e la presunzione. È proprio in virtù di questa progressiva riduzione dell’umano che il potere governa e determina il singolo. Si avvera perciò una sorta di anoressia dell’umano che dissocia il soggetto e lo fa vivere nella paura. Il compito della comunità cristiana, dunque, è quello di ridare identità all’uomo. Cosa definisce dunque questa identità? L’uomo è caratterizzato innanzitutto dalla libertà, ovvero dalla capacità di percepire la realtà attraverso il paragone tra ciò che incontra e il suo cuore. La libertà nasce quindi come percezione della realtà (conoscenza) e come affetto ad essa. Il secondo fattore della libertà è il giudizio che, in quanto tale, è frutto di una corrispondenza non automatica e di un lavoro. La terza caratteristica della libertà è di essere una prassi creativa, cioè un’esaltazione della corrispondenza ultima fra la realtà totale e il cuore dell’uomo, essendo entrambe fatte dall’unica intelligenza di Dio. Come avviene questo ridestarsi dell’identità autentica dell’uomo? Attraverso l’incontro con una realtà umana viva, qualitativamente differente, capace di attrarre perché corrispondente al cuore. L’incontro si dilata poi in una compagnia che è il luogo geografico e sociale in cui si è chiamati a vivere ciò che l’incontro ha ridestato. Occorre, tuttavia, evitare il rischio di ridurla, secondo un uso strumentale, a un progetto di potere. Da una compagnia così intesa, infatti, non possono che conseguire la degenerazione dell’operosità ad attivismo e la riduzione della vita comunitaria a schemi prestabiliti, siano essi vocali (discorso) od operativi (attività). Una compagnia siffatta è una compagnia egocentrica. La domanda, al contrario, è la modalità operativa di appartenenza alla compagnia. In essa si attua l’intreccio di ragione e affezione. Domanda e gratitudine vigono là dove la compagnia è concepita e vissuta come luogo di cammino, sorgivo del richiamo e dell’aiuto alla propria identità. Pretesa e lamento emergono, invece, quando la compagnia è vissuta in modo egocentrico. L’espressione della compagnia più grande è la preghiera, la domanda che avvenga l’Avvenimento in cui si è stati coinvolti.
Strani uomini
La lettura da parte degli universitari del Racconto dell’Anticristo di Solov’ëv – scelto poi come testo del Volantone di Pasqua – provocò sorpresa e suscitò nuovi interrogativi nella vita delle comunità. In un frangente in cui queste vivevano una fase di grande vivacità, il racconto di Solov’ëv fu colto come un invito a fare i conti con la natura originale del cristianesimo. Il luogo in cui l’io esprime se stesso è l’ambiente in cui vive. Tuttavia, essendo questo organicamente connesso con la presenza devastante del potere, emerse alla coscienza degli universitari che era possibile leggere il brano di Solov’ëv ed essere d’accordo con il suo contenuto, senza però, esserne provocati. Di fronte alla sfida lanciata da quel testo emerse un grave disagio e sorse una domanda: che pertinenza ha il cristianesimo con il quotidiano? Il disagio rileva e al contempo genera una fragilità, perché ciò a cui si aderisce, teoricamente e praticamente, non ha la capacità di trasformare la quotidianità. Ciò che non è in grado di incidere e trasformare il presente è qualcosa di fragile. Questa fragilità nasce da un dualismo vissuto (essere d’accordo, ma non provocati) e si identifica con una frammentarietà. In questo modo le iniziative della comunità non generano una personalità. Avere coscienza di questo disagio, tuttavia, è già l’inizio della maturità. Ora, la mentalità dominante tenta di distruggere la ricchezza della proposta cristiana e la personalità che essa è capace di generare. Il fatto cristiano, infatti, è caratterizzato da una presenza che, perturbando il presente, rende inquieto ogni dinamismo e disturba ogni meccanismo prestabilito dal potere. La coscienza di questo fatto rende la vita un flusso continuo di novità. La Sua presenza emerge corporalmente in una compagnia: la comunità è la storia in cui l’incontro diventa permanente; è il luogo dove la trama dei rapporti costituisce lo strumento con cui Cristo incontra il singolo. Questa compagnia è per la persona – perché la presenza di Cristo è per la persona – e questa si costituisce nella risposta che dà alla compagnia stessa. Quella cristiana è una comunità che libera, perché ciò che rende veri è l’esperienza della libertà e la libertà è il nesso con il significato. Al contrario, le conseguenze sulla personalità che il potere è capace di generare possono essere devastanti. La prima conseguenza è una difficoltà a comprendere, che comporta a sua volta un infragilimento della ragione. La seconda conseguenza è la frattura tra riconoscimento e affettività. L’amicizia cristiana, invece, introduce il soggetto nella realtà quotidiana, invitandolo a verificare se Cristo è ciò che ha di più caro. La grande legge di questo strumento che Cristo ha scelto per essere presente, cioè la Chiesa, è il seguire. L’esito del seguire è un’appartenenza nella quale il Mistero diventa sempre più familiare all’io e un cambiamento significativo nel soggetto i cui segno sono: la letizia, la missionarietà come «epifania di un’identità», la capacità di sfidare le circostanze e, infine, la domanda che è fare spazio al Mistero perché si manifesti.
Trasformare il presente
Ciò che ricostituisce l’originale innocenza è il contatto con l’ideale che si rivela. Questo essere rifatti innocenti è possibile per una Presenza reale che coincide con la comunità cristiana. Aderendo ad essa si realizza una memoria sempre più continua. Tutte le mattine (la mattina è quando si riprende la coscienza del vivere) c’è la possibilità di questa ripresa e ciò dipende profondamente dalla libertà come memoria di un fatto che c’è e come volontà di aderire al Destino. Il contenuto di questa ripresa è il riconoscimento dell’appartenenza a una realtà vivente. Ogni mattina dunque si gioca una lotta per la ridefinizione di sé. È possibile decidere se essere trascinati da tutte le circostanze in cui Dio svolge il Suo misterioso disegno o se aderivi con libertà. Per questo occorre una forza che nasce da un amore alla propria vita, da una tenerezza verso di sé. Questa ripresa mattutina è dunque l’impresa umana più importante e più grande. C’è nell’uomo una mancanza di equilibrio da cui scaturisce un’irrequietezza che genera insoddisfazione. Questa mancanza di equilibrio ha una radice profonda che si chiama peccato originale. Tutto tende a strappare l’uomo dall’identità in cui risiede la sua innocenza. Essa deve allora per forza diventare una lotta; il termine esatto è lavoro. Non ci si deve scandalizzare della “follia” che determina l’esistenza, qualunque grado essa raggiunga; non deve diventare scandalo che l’innocenza del mattino debba soffrire fatica, perché esiste sempre la possibilità di essere accolti. Si è abbracciati da Dio. Egli, per documentare questa Sua vicinanza, è diventato un uomo ed è morto dando se stesso. Oggi Cristo abbraccia l’uomo con tutta la sua follia attraverso l’abbraccio di una compagnia umana. È la gratuità di Cristo che cinge la follia dell’uomo e la convoglia verso un’insospettata positività. La compagnia è anche un aiuto a vivere l’innocenza. Se essa è aiuto, allora la prima questione è identificare dove stia veramente questa compagnia. È amico, infatti, chi strappa dall’istintività. L’aiuto è il contatto con l’ideale che diventa lavoro. Per essere aiutati tuttavia non si può soltanto desiderare, ma occorre che siano spaccati i confini della meschinità, ovvero che si domandi. La domanda, infatti, rompe la misura e spalanca alla totalità. Essa è l’essenziale forma della ripresa del mattino. Non vi è lavoro se non è domanda. Il mendicante, perciò, è la figura dell’uomo.
1989
La testimonianza di una compagnia
Il contraccolpo prodotto dal volantone e dalle equipe precedenti portarono all’interno delle comunità del CLU a un lavoro sempre più assiduo che ne cambiò il volto. La comunità stessa divenne maggiormente luogo della personalizzazione della fede e della costruzione della propria identità umana. La ripartenza nasce da una gratitudine, ma la verità di questa gratitudine riguarda il nesso tra il Mistero e l’uomo. Partendo dalla gratitudine per Cristo non si può non rilevare la presenza di un germe ignoto di diversità nella compagnia cristiana: il germe della fede. È necessario però che la novità che si è introdotta, per dirla con Mounier, “non si cristallizzi in dottrina” e che il discorso diventi esperienza. Che il discorso diventi esperienza vuol dire che investa sempre di più il rapporto tra l’io e il reale. Per essere meno fragili nell’impatto con la realtà, dunque, occorre una fatica nel prendere sul serio il discorso, la parola che è stata detta, la provocazione continua della compagnia cristiana, sia come motivo del suo costituirsi, sia come motivo della sua fedeltà. La condizione è una fatica reale che traduca l’ideale in tempo e spazio. C’è una nuova speranza nella vita: è il germe che differenzia la comunità cristiana da tutto ciò che la circonda. Il fattore fondamentale della speranza è aspettare: ciò che abbiamo di più caro nella vita è Cristo aspettato, più aspettato che visto. È un’esperienza in cui l’attesa prevale quantitativamente su ciò che si tocca. Tale è la natura della fede, della speranza e della carità, tutte tappe che si susseguono con calma, con sicurezza. Riprendendo Mounier, occorre che “la verità nasca dalla carne” e questo significa che la verità determini un cambiamento di sé nel guardare il presente; non si comprende e non si arriva a Cristo se non dal di dentro di questo cambiamento. La Sua potenza si mostra dentro l’esperienza presente di un cambiamento che diventa parto; è un’esperienza di generazione che cresce fino a diventare storia permanente. I fattori costitutivi della fatica di questo cambiamento sono due: il primo è la ragione, cioè il riconoscimento del perché e il perché è la corrispondenza tra quello che si propone e il cuore; il secondo fattore è l’affettività intesa come volontà di adesione. C’è anche un terzo fattore: la grazia, ovvero quella compagnia da cui si è originati. Il lavoro da compiere sarà quindi un dilatarsi della familiarità, come riconoscimento e come affezione, di questa Presenza: un’educazione a livello della ragione e un’educazione a livello della propria volontà. Questa realtà, che può essere penetrata attraverso il sacrificio e la fatica, costituisce il primo aspetto del parto, l’opera che cresce e la storia che si sviluppa. L’amicizia è il primo segno del cambiamento che il riconoscimento della Sua Presenza realizza: l’amicizia intesa come realtà sociale diversa, cioè generata diversamente (opera), e proiettata nel cammino del tempo e dello spazio diversamente (storia). Ogni intimismo e sentimentalismo viene strappato da questa concezione di amicizia che nasce dalla fatica di rendere carne l’ideale. Senza sacrificio, al contrario, si scivola in una dottrinalità. L’ultimo aspetto cui guardare è che la verità che nasce dalla carne è capace di sprigionare un gusto culturale. Che il discorso sia diventato esperienza si svela innanzitutto dal destarsi di un gusto di conoscenza vera. La forma che assume questo gusto culturale è la Scuola di comunità che facilita il penetrare del soggetto nell’esperienza quotidiana in continuo paragone con l’origine.
Dalla terra, la verità
È possibile sperimentare un cammino verso una coscienza nuova di sé più critica e nello stesso tempo più commossa, perché solo ciò che commuove diventa movimento. La prima questione è il desiderio che la vita sia utile. Senza utilità non si può neanche parlare di letizia. L’utilità della vita consiste nel generare e l’esito di questa generazione è la comunionalità, cioè un tessuto di rapporti tra gli uomini e tra gli uomini e le cose che si riflette in ogni particolare e che da ogni particolare rifluisce nel tutto. Questa è l’origine della gioia. Da questo punto di vista generare significa partecipare alla realtà come unico organismo vivo. C’è una legge fondamentale perché questa utilità si realizzi che si chiama obbedienza, nel senso di seguire un fatto. L’etica è obbedienza al Mistero e il Mistero si comunica attraverso un fatto. La connessione Mistero-fatto storicamente ha un nome: Gesù Cristo. L’esplosione della vita nasce dall’apertura a questo fatto ed essa è possibile per un riconoscimento. Essendo la presenza di Cristo dentro la realtà, si tratta di un riconoscimento nella realtà. Le conseguenze di questa apertura sono: la possibilità di dire “caro” a qualcuno; una nuova serietà dell’io con la vita; la possibilità di vincere la “frattura fra le cose”; la scoperta dell’umiltà. Così Cristo diventa sempre di più un punto determinato carnalmente, temporalmente e spazialmente: una compagnia guidata, in cui emerge il valore dell’autorità. Eticamente la parola che descrive la dinamica di questa compagnia è “seguire”. La sequela mette in gioco la libertà come paragone con la compagnia in quanto guidata. La libertà più vera è quindi una sequela. Il punto faticoso di questa legge è la diversità. Se la diversità, infatti, prevale più di ciò che unisce allora il fatto che unisce non è Cristo e questo porta fuori dalla comunità. L’obiezione della diversità fa diventare eticamente quasi impossibile il perdono. Al contrario accettare il sacrificio della diversità ha come derivazione più affascinante il perdono, cioè il prevalere del valore più importante su quello meno importante. Chi vive veramente la compagnia cristiana si sente molto più se stesso di prima; non è più lui, è un altro. L’assenza di una vera generazione, di un protagonismo nuovo nella vita, è sbloccata soltanto dall’obbedienza. È l’obbedienza, infatti, che rende capaci di generare, cioè di un protagonismo nuovo.
Un dialogo continuo
L’uomo è quel livello della natura in cui la realtà diventa segno, convocazione ad Altro. Tale richiamo non è a una sapienza scientifica ma a un incontro. Non si guarda veramente la realtà, infatti, se non nella sorpresa di un incontro in cui dominino stupore e umiltà. È da questa umiltà, dal riconoscimento che accoglie la proposta della realtà, che nasce quello che eticamente e moralmente si chiama “valore dell’istante”. È nella scoperta del valore del momento contingente che emerge il valore dell’io. La memoria rende, allora, tutto il corso del vivere diverso: un modo vero di intelligere, ovvero una nuova intelligenza della realtà. L’intelligenza coglie diversamente le cose grazie a una mossa dell’affettività. Il significato cui convoca il Mistero attraverso tutte le circostanze si è reso dono nella vita attraverso l’incontro con un uomo: “Il Verbo si è fatto carne”. Non è tanto l’incontro nella sua fattispecie effimera l’importante, ma quello che si è reso presente nell’incontro. Attraverso di esso tutto diventa messianico, nel senso che ogni istante della giornata è parte del corpo di Cristo, è segno della presenza del significato. Il significato si è fatto carne diventando irreversibile; è qui e ora attraverso un’unità tangibile. Ogni istante perciò diventa un passo d’attuazione del rapporto con l’Infinito; ogni istante è occasione per dar gloria al significato presente. Studiare, lavorare, i rapporti più cari trovano in Cristo la pienezza di significato, perché quel rapporto è la circostanza con cui il Mistero convoca a sé la persona. Fuori dal rapporto con chi, in modo libero e cosciente, ha risposto all’iniziativa dello Spirito di Cristo appartenendo alla compagnia cristiana, la memoria di quello che è accaduto non reggerebbe l’urto del tempo e delle circostanze. Quindi è solo nel rapporto con l’origine di quella compagnia che si chiarifica una strada personale. Vivendo la vita della comunità, dunque, la memoria del singolo resiste nel tempo divenendo una dimensione totalizzante. La compagnia ha il compito di smascherare il peccato essendo lei stessa segno di perdono. Il suo valore è sminuito, tuttavia, quando si privilegia l’essere insieme all’amore al Destino. Il Destino, che è Cristo, è della persona. La compagnia abbraccia il singolo in tutta la sua incoerenza perché incarna le braccia di Cristo stesso. Gli errori che è possibile commettere contro l’unità della compagnia sono due: una lettura individuale che attesta che il motivo dello stare insieme non è nulla di più che un’opinione; l’identificazione del servizio con il potere. Invece, “non si fa il Movimento avendo in mano sempre più cose (cioè sempre più potere), ma andando a fondo di un’opera”, vale a dire accettando la circostanza che Dio dona. Per sviluppare l’unità nella compagnia occorre pazienza e un’incessante domanda, che è il più grande gesto della vita: “La casa della nostra risposta può essere costruita sulla domanda”. Domandare insieme Cristo è l’essenza ultima dell’espressione dell’essere in compagnia. Il segno che qualcosa sta avvenendo di nuovo è la gioia e questa è l’ultima sfida che la comunità lancia al mondo: “Con Me conoscerai la gioia”.