1982
La compagnia di Dio all’uomo
Il testo di un incontro tenuto da Giussani sul cristianesimo colpisce profondamente alcuni universitari che decidono di trascriverlo e distribuirlo in tutte le università. Nasce così il primo “Volantone” di Pasqua dal titolo “Cristo, la compagnia di Dio all’uomo”. La diffusione di questo testo ha effetti impensati: annunciare direttamente l’origine della compagnia vissuta in università non suscita estraneità, ma fascino. Ciò che di più importante si può comunicare non sono le iniziative, ma il fatto di Cristo. Occorre farsi plasmare da questa Presenza e tornare all’origine del Movimento. Infatti, ciò che Giussani portava nelle prime ore di lezione al Berchet era la memoria di un avvenimento che diventava presente attraverso di lui. Ciò che lo muoveva era la presenza di Cristo fatto uomo che attraversava la storia e colpiva chi aveva davanti. Il Volantone, dopo tanti anni, ha riproposto questa situazione. Da ora in poi il CLU non può più partire da altro che da questo. Nacque allora un’esigenza di cambiamento come risposta alla sproporzione tra quel fatto e la povertà di chi lo proponeva. L’essenza del cristianesimo è un avvenimento, che si manifesta nell’annuncio del fatto di Cristo e nel cambiamento che esso genera, un cambiamento tale da poter essere definito miracoloso. Eppure nella maggioranza dei casi non si parte dalla vittoria di Cristo, dalla Sua resurrezione, ma solo da quello che non ci soddisfa. Questo accade perché non facciamo memoria, cioè non offriamo, non preghiamo. La preghiera non è una formula, ma una dimensione della vita, è la coscienza di una Presenza. Da questo sorge una cultura nuova, ovvero la domanda di Cristo dentro i problemi dell’esistenza; quel fatto diventa l’orizzonte totale del giudizio su tutto. Se non è questo, la cultura è sforzo volontaristico; ma una concezione del genere rende sempre divisi tra le cose da fare per la comunità e i propri affari privati. Invece ciò che muove è un amore al destino. Riconoscere questa Presenza è un lavoro, vale a dire, solo l’adesione a un Altro può strappare dall’immagine e dal progetto che sempre insorgono. Del resto, la vocazione della vita è essere disponibili a questo Altro, che è l’Essere. Tutto ciò, però, sarebbe solo una nostalgia se non raggiungesse il singolo concretamente. Invece, l’avvenimento di Cristo coincide con la compagnia cristiana. Cristo si fa sguardo nell’amico che si ha accanto: per questo si può obbedire e piegarsi alla Sua presenza. La prospettiva è lasciarsi plasmare dalla Sua presenza che è questa compagnia; solo questo può rendere creativi.
Senza patria
Nell’estate del 1982, poco prima dell’Equipe, Giussani viene chiamato a Roma da Giovanni Paolo II. Il Papa ribadisce la grande vicinanza che sente con l’esperienza del Movimento e afferma: «Voi non avete patria, perché voi siete inassimilabili a questa società». Si tratta di un’affermazione decisiva, che segna un passo fondamentale per tutta CL. Non si è senza patria semplicemente perché si è cristiani e si affermano certi valori. Mentre chi afferma valori, anche cristiani, trova spazio e accoglienza ovunque, colui che riconosce la presenza di Cristo nella propria vita è senza patria. Se questo fatto è il centro della vita, si è irriducibili a qualunque società. Chi pone la sua consistenza in una modalità espressiva di sé, in una certa organizzazione o in un discorso è sempre insicuro, mentre la consistenza del cristiano è qualcosa d’altro da sé. I cristiani sono conseguenza di una Presenza. Il Volantone ha risvegliato negli universitari di Comunione e Liberazione questa esperienza, dalla quale sono nate tre conseguenze antropologiche. La prima è la «distanza» che si stabilisce tra sé e le cose. Se si tenta di possedere ciò che si ama (la donna, gli amici), ci si accorge di perderlo, perché più importante della cosa stessa è ciò che le dà il significato. Questa distanza che la Presenza introduce non è una perdita, ma una vicinanza eterna, che rende inattaccabile l’affezione. Seconda conseguenza è la «fecondità». La fecondità vera è quella che genera l’umano, cioè quella che dilata la presenza di Cristo. Terza conseguenza è il riaffermarsi dell’«irriducibilità dell’io». Solo chi è in rapporto con questa Presenza è irriducibile al mondo, perché è tutto determinato dall’amore a Cristo. Questo commuove rispetto a se stessi e nello sguardo verso gli altri.
Cosa si può fare perché l’avvenimento cominciato con il Volantone permanga? In primo luogo, domandarlo, cioè pregare, gridare perché Egli venga. La domanda vera non nasce dal dubbio, ma dalla certezza che questo significato si è mostrato nella storia. In secondo luogo, occorre restare attaccati alla compagnia, che è l’avvenimento di Cristo ora, e obbedirle. Per questo la forza della compagnia è la memoria, vale a dire, tenere conto che è successo qualcosa. Terzo, possiamo dare alla vita una regola che sia l’espressione di ciò che la muove. Una compagnia vissuta in questo modo educa a uno sguardo su se stessi che non esiste altrove e che esalta la propria umanità.
1983
Il passo da fare
Per trattenere ciò che era accaduto nelle ultime Equipes è stato necessario prendere consapevolezza di quale fosse stato il passo a cui erano stati chiamati gli universitari. Per molto tempo avevano vissuto in una posizione esistenzialista, vale a dire individualista e tristemente sola, ma ora era il momento di passare a una posizione cristiana, che significa più umana. L’esistenzialista coincide con le sue reazioni e i suoi sentimenti, non ha consistenza personale, perché non afferma altro che se stesso. Invece, un uomo è tale solo quando appartiene a qualcosa di più grande, quando afferma una Presenza che dà ordine alla vita. La personalità è inconsistente quando manca la coscienza di appartenere a questo rapporto. L’appartenenza non può essere limitata alla diaconia o al capo della comunità. Il capo è il segno di ciò a cui si appartiene, che è il destino, cioè Cristo. Per molti anni il movimento si è identificato con il fare certe cose o certe iniziative. Quando i tentativi sono falliti, però, si è cercato di rifugiarsi, per proteggersi, nell’intimità della comunità. Col tempo si è riscoperta la passione dell’essere presenza in università, vale a dire, la passione di comunicare un messaggio che coincide con la propria vita. Ora il passo da fare era rendersi conto che il messaggio che portavano non si riduceva ai valori cristiani, ma era la presenza di Cristo nella compagnia che si manifestava in una diversità umana. È questa Presenza riconosciuta che permette di passare dall’esistenzialismo a una posizione realmente umana.
Quello che Giussani diceva stentava ancora a diventare esperienza, perché ci si preoccupava del «progetto» del movimento, ma il progetto del movimento va avanti da solo; ora il problema era la persona. Il problema è la coscienza che ciascuno ha di portare in sé la Presenza di qualcosa d’altro da sé, che è il divino. La presenza storica di Cristo deve essere il fattore determinante di tutto ciò che si fa: questa è la responsabilità alla quale si è chiamati come cristiani. La responsabilità del singolo è permanere in questa compagnia e da tale permanenza nasce il criterio, ovvero il giudizio con il quale si affronta tutto il mondo.
Un giudizio sull’ambiente
Alcuni hanno testimoniato un nuovo passo nell’esperienza, parlando della coincidenza tra appartenenza e annuncio. Questo significava che il movimento non era più inteso come una proposta da fare all’esterno, ma come la «struttura» stessa del proprio io, perché si era scoperto che ciò che si annunciava era la verità e la consistenza di se stessi. Si annunciava ciò a cui si apparteneva, il senso della vita, che consisteva nella presenza di un Altro. Perché accada questa esperienza occorre una lealtà verso se stessi, vale a dire, un amore a se stessi e alla propria libertà. La libertà vera non è autonomia, ma riconoscere che non possiamo compierci da soli. La libertà è aderire a qualcosa d’altro, perché senza di esso l’uomo si smarrisce. Si può però negare questo legame e quindi la propria natura. La moralità, allora, non è altro che riconoscere il rapporto con ciò che ci genera, è un’onestà e una lealtà con la propria esperienza. Il primo gesto di pietà verso noi stessi è annunciare l’Altro senza il quale la nostra persona si dissolve. Se il primo polo è costituito da questa nostra libertà, il secondo polo è la libertà dell’Altro, ovvero la libertà di Dio. La prima manifestazione della Sua libertà è la creazione, ma il culmine di questo fenomeno, ciò che dà senso alla creazione, è Gesù Cristo. Il metodo con cui la libertà di Dio si esprime in Cristo prosegue oggi nella storia ed è la compagnia cristiana. Se non fosse così, tutto sarebbe consegnato a un proprio sforzo di immaginazione. L’unico senso della compagnia è essere l’inesorabile riproposta di Cristo come ipotesi di lavoro della vita. Allo stesso tempo, la compagnia porta sempre con sé l’evidenza sperimentale della Sua presenza. Quando si permane in essa si generano due dinamiche. La prima è quella della domanda, che nasce dal giudizio della fede. Il riconoscimento della Sua presenza porta a domandare che Lui riaccada. La seconda dinamica è una disponibilità totale, che arriva a penetrare tutti i particolari della vita. Tutto il contenuto della fede si gioca in un momento storico particolare, che nel nostro caso è definito dalla dimenticanza totale sia della libertà dell’uomo che della libertà di Dio. Riconoscere questo dà un compito: dilatare l’avvenimento di questa compagnia. È questo che spinge a conoscere i compagni, a rischiare nel lavoro e in ogni circostanza. Ciò che si è incontrato è una nuova forma di vita immanente alle altre forme di vita e che le investe portando l’annuncio della vittoria di Cristo.
L’unità dell’esperienza
Non si può comprendere il contenuto di ciò che ci è stato annunciato, se non abbiamo un po’ di affezione verso noi stessi. Il Movimento nasce da un’affezione alla propria umanità, l’avvenimento non può realizzarsi se l’uomo non desidera il compimento del proprio umano, dei propri desideri nella loro verità. L’affezione a sé non è un egoismo, ma al contrario è lo stupore per un’oggettività, me stesso, che non ho fatto io. Questo si traduce in una serietà verso i propri bisogni, verso le esigenze che costituiscono sé; per mantenere questa serietà occorre essere poveri di spirito. Queste esigenze non le si decide da sé, ma costituiscono la propria stoffa umana, perciò quando le si riduce e ci si fissa su un particolare, si degrada la propria libertà. Invece, il povero di spirito è colui che riconosce di essere fatto per un’attesa senza confine, per un’aspirazione senza limite. La serietà nell’affezione a sé è la percezione del proprio bisogno senza limite. Uno entra nel Movimento solo perché percepisce che quel luogo può fornirgli un aiuto in questa serietà di affezione. La società contemporanea annega questo sentimento di sé e anestetizza i bisogni più profondi dell’uomo. Eppure, anche in questo contesto, accade un fatto imprevedibile, un incontro storico con una compagnia diversa. Questa compagnia è formata da persone che sono interessate alla singola persona più di quanto lo sia lei stessa e di fronte a loro sorge la domanda: come possono essere così? C’è solo una spiegazione plausibile: che questa gente diversa sia il segno del Mistero che è entrato nella storia e che mi genera. Una tale diversità si può spiegare solo se Cristo è presente e agisce in modo tale da cambiare la storia, tanto che la Sua presenza è ascoltabile, tangibile. Cristo è il motivo per cui questa gente sta insieme. La diversità che si osserva in una compagnia del genere è un segno potente che spinge a domandarsi l’origine di questo stare insieme e porta con sé quel fenomeno, inspiegabile per il mondo, che è il perdono. L’ultimo aspetto essenziale è che non si può permanere in una compagnia di questo genere se non annunciando continuamente a sé e agli altri ciò che la genera. La testimonianza è il lavoro della vita, perché ciò che salva da tutti i limiti è la passione nel comunicare il fatto di Cristo. Il nostro permanere in questo luogo deve essere guidato da tre raccomandazioni. La prima è combattere contro ciò che è pre-costituito e pre-fissato. Il nostro scopo non è una struttura, ma annunciare ciò che abbiamo incontrato, per questo dobbiamo essere agili e non schematici. La seconda raccomandazione è che tra di noi cresca una compagnia fedele gli uni agli altri. Questo deve accadere prima di tutto tra quelli che guidano, ma poi si deve dilatare a tutti, fino all’ultimo studente invitato a un incontro. La compagnia fedele non fa altro che ricordare continuamente la ragione che la tiene insieme e il suo primo strumento è la Scuola di comunità. La terza raccomandazione riguarda l’obbedienza. Non si genera nulla, infatti, senza seguire.