Il volume raccoglie diverse interviste di Renato Farina a don Giussani e la trascrizione di conversazioni tra i due a carattere amicale. Farina sottolinea come per Giussani l’intervista sia un incontro personale da cui tutti possono attingere: ogni colloquio è un avvenimento.
Quasi tutte le interviste, dal maggio del 1981 all’ottobre del 1995, sono dedicate a temi di grande attualità storica in quegli anni: sulla figura dei Papi a partire da Paolo VI e sul rapporto di Comunione e Liberazione con le varie associazioni cattoliche. Inoltre svelano un uomo alla guida del movimento carico di accesa obbedienza al Santo Padre.
I colloqui con gli amici hanno un carattere allo stesso tempo confidenziale e universale, come se parlando a quei pochi don Giussani volesse parlare a tutti.
Nel segno di Fatima (maggio 1981) è la reazione di Giussani alla notizia dell’attentato a Giovanni Paolo II. Di quel singolo gesto egli accusa il potere come affermazione del possesso che l’uomo esercita sulla realtà, invitando la Chiesa e anche chi non crede a difendere la verità dell’umano per cui il Papa si spende.
La piccola cosa aperta al tutto (ottobre 1981) è memoria viva al rientro dal convegno dei movimenti di quel settembre a Roma. Emerge come don Giussani abbia percepito una palpabile fraterna unità tra i movimenti della Chiesa, in forza di una “verità sperimentata”, che ha come principale caratteristica la compagnia e come contenuti carità e cultura. I movimenti nascono unicamente dalla memoria di Cristo e la loro missione è liberare l’uomo dalla paura e dalla schiavitù del potere, per condurlo a concepire la propria vita come strumento di collaborazione all’azione del Papa.
Lui che amò la Chiesa più di se stesso (dicembre 1983) è l’intervista in occasione della morte di colui che fu il miglior amico di don Giussani in seminario: monsignor Manfredini, arcivescovo di Bologna, suo compagno a Venegono. Di lui Giussani ricorda come amasse la Chiesa più di se stesso nella sequela al Papa. Tale perdita, che conduce a una maggior partecipazione alla Croce di Cristo, è allo stesso tempo un richiamo al fatto che Lui solo è la vera speranza.
Quello sguardo d’amore fa durare la giovinezza (aprile 1985) raccoglie spunti di don Giussani a partire dalla lettera apostolica di Giovanni Paolo II Dilecti amici, indirizzata ai giovani. La giovinezza è un atteggiamento del cuore, pieno di positiva attesa e di sorpresa per l’incontro con una compagnia che offre le ragioni per approfondire la coscienza della realtà. Per scuotere la coscienza dell’uomo ci si deve imbattere in persone amiche, strumento del Suo amore. L’unico modo per rimanere sempre giovani è continuare a domandare che Dio si manifesti. La vocazione per il giovane è la missione a perseguire il senso di ciò che gli accade, andando fino in fondo alle circostanze in cui è chiamato a vivere, fino domandare con insistenza, accompagnato da chi ha già sperimentato la drammaticità di questa supplica.
Nelle pagine successive (De Juventute, aprile 1985) ritroviamo il verbale di una serata dedicata proprio a come mantenere viva questa domanda, con giovani e meno giovani alla Comuna Baires di Milano. Giussani sottolinea come per rimanere giovani occorra avere un ideale e non essere mai tranquilli: il cuore deve aver sempre sete di qualcosa di infinito che si rende vivo già nell’istante. La differenza tra sogno e ideale è che il primo non si realizza nel presente, e chi segue i sogni prima o poi viene pervaso dal dubbio. Il dubbio, poi, è il maggior nemico della certezza, unica possibilità di costruire qualcosa nella vita.
Comunione e collaborazione (maggio 1986) è l’intervista in cui don Giussani esprime il suo pensiero in seguito al persistere della crisi d’identità dell’associazionismo cattolico. In alcune vicende, per scaricare le tensioni, viene colpito come bersaglio proprio il movimento di Comunione e Liberazione. In questa situazione Giussani intende collaborare con le associazioni cattoliche in quanto tutti partecipi del Mistero di Cristo nella Chiesa e insiste sul fatto che il rapporto tra i cattolici deve fondarsi sull’amore alla Chiesa e sull’obbedienza al magistero pontificio, come criterio di giudizio presente e carnale.
Con I volti segreti di Pietro (agosto 1988) don Giussani rievoca le figure di Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II. Del primo dice che fu proprio lui ad intravedere in Comunione e Liberazione una capacità di rinnovamento che potesse superare la crisi dell’associazionismo cattolico. Ricorda il personale incoraggiamento del Pontefice a perseguire il cammino intrapreso. Parlando del carisma di questo Papa ne sottolinea l’intuizione che la Chiesa, per salvarsi dal formalismo in cui stava scivolando, dovesse rifarsi alla tradizione. Ed è proprio sulla certezza della tradizione che si fonda l’insegnamento di Giovanni Paolo II, a cui la Chiesa venne introdotta dal sacrificio di Papa Luciani, per ritornare a riaffermare la verità e l’amore da cui parte il cristianesimo.
Un impeto di grazia creativa (febbraio 1989) raccoglie le considerazioni dopo il Sinodo dei vescovi sui laici a cui intervenne lo stesso Giussani. Egli ritiene che il messaggio principale del Sinodo sia il fatto che Cristo si comunica al mondo attraverso la Chiesa, la quale è vitale perché costituita da persone investite dal dono dello Spirito. Questo dono le unisce in amicizia e da questi rapporti sorgono i movimenti e le associazioni della Chiesa in cui opera lo Spirito di Cristo. Il Papa sottolinea che è necessario rievangelizzare e il documento sinodale esplicita i criteri di ecclesialità per togliere i fedeli da confusioni teologiche di stampo illuministico. Inoltre Giussani chiarisce ai laici cristiani che si impegnano in politica che lo scopo della vita è la santità nell’obbedienza al magistero, e che Montini stesso parlò di politica come forma suprema di carità.
Un evento. Per questo ci odiano (aprile 1992) è frutto di un dialogo con l’amico Renato Farina. Giussani afferma che i cristiani sono stati scelti per la missione, e che a causa di questo annuncio il vero cristiano è vittima di una persecuzione reale. Infatti il mondo ritiene intollerabile l’incarnazione, l’evangelizzazione e l’obbedienza, illudendosi di essere libero. Ma il cristianesimo è un evento che permane. Essendo un fatto, non può andare in crisi: c’è. La missione del cristiano è di testimoniarlo a tutti.
Un caffè in compagnia (dicembre 1993) è una conversazione che verte sul senso della compagnia. La parola compagnia è sinonimo di utopia quando ci si illude che possa cancellare la drammaticità dell’esistenza e quando si crede di poter soddisfare in essa ogni speranza al fine di rendere la propria vita più sopportabile. In questo modo diventa una fuga, una vera e propria alienazione. Invece la compagnia cristiana nasce dall’incontro con Cristo, che rende l’uomo creatura nuova: è dunque un cambiamento personale che scaturisce dalla Sua Presenza.
La massima espressione (aprile 1994) presenta il pensiero di don Giussani sulla musica e sul canto, esposto a un gruppo di voci dei cori di CL. Il canto è vero quando esprime la coscienza dell’uomo di appartenere a un destino positivo. Dunque è carità perché manifesta la voce dei cuori di un intero popolo. A partire da questo punto di vista il canto è fondamentale per approfondire i sentimenti umani e il senso della comunione.
Una fede ecumenica (ottobre 1995) è la trascrizione della lectio magistralis in forma di intervista alla consegna a Giussani del premio della cultura cattolica. La fede è cultura perché definisce per Chi l’uomo vive e a partire da questo fatto origina una nuova coscienza della realtà. Allo stesso tempo la fede non nega, ma completa la ragione nel prendere coscienza di sé e del reale secondo la totalità dei fattori. La fede è un avvenimento, perciò un’esperienza. In questo senso non è in contraddizione con la ragione, che è uno strumento per leggere l’esperienza. Un sinonimo di “cultura” in ambito cristiano è la parola “ecumenismo” in quanto in ogni rapporto il cristiano scorge la verità che è in tutti. Da qui il miracolo: l’attuazione di una unità di pensiero e azione che sgorga dalla comune affermazione della verità.
«Ebrei e cristiani alla fine si riuniranno.» Parla don Giussani (agosto 2002) è una conversazione informale in una cascina della Bassa milanese dove Giussani insiste sull’esistenza del Mistero che si rivela all’uomo come Carità. L’esperienza è tale solo in quanto fa esperire l’amore di Dio. Il riconoscimento e l’imitazione di questo amore generano l’unità del popolo che procede nel cammino religioso, tanto da far sperare che cristiani ed ebrei, popolo dell’attesa, possano essere una cosa sola entro settant’anni. Per arrivare a questo punto bisogna riconoscere che l’Essere è Mistero. E il Mistero c’è come esperienza d’amore nella figura della Madonna, attraverso la quale si incarna e si rende tangibile a tutti.