Il libro è la trascrizione degli incontri dell’Autore con un centinaio di giovani decisi a impegnare la propria vita con Cristo in una forma di dedizione totale. In un percorso appassionante di lezioni e assemblee si affrontano i principali contenuti della fede, testimoniando una modalità profondamente umana di approccio al cristianesimo. Il libro, diviso in tre parti, descrive le caratteristiche fondamentali della personalità cristiana, corrispondenti alle virtù teologali: fede, speranza e carità. In ogni parte sono approfondite le condizioni di ciascuna virtù (libertà condizione della fede, povertà condizione della speranza, sacrificio condizione della carità) e gli atteggiamenti conseguenti (dalla fede l’obbedienza, dalla speranza la fiducia, dalla carità la verginità).
Introduzione
Si comincia ragionevolmente una strada che ancora non si conosce perché è capitato qualcosa per cui vale la pena cominciare. In questo modo, l’inizio non ha un valore puramente ipotetico («vediamo se…») ma è ragionevole e persuasivo, per l’intuizione profonda che nella strada che si intraprende c’è qualcosa di giusto, di bello, qualcosa che compie le esigenze del proprio cuore.
Parte prima: fede
1. La fede
Prima ancora che applicarsi a soggetti di tipo religioso, la fede è un metodo di conoscenza naturale in cui la ragione entra in rapporto, attraverso un testimone, con una realtà che non può conoscere direttamente. L’attendibilità di tale metodo si fonda sulla credibilità del testimone, sul fatto cioè che egli sappia ciò che dice e non voglia ingannare l’interlocutore. La fede è il metodo di conoscenza da cui dipende l’edificazione della cultura, della storia e della convivenza umana, poiché l’uomo comincia sempre da ciò che ha scoperto chi lo ha preceduto. Attraverso il metodo della conoscenza per fede è possibile conoscere Cristo e raggiungere una certezza su di Lui.
La dinamica della fede cristiana, cioè il modo in cui sorge e si sviluppa il riconoscimento della presenza di Cristo, si articola in cinque punti: la fede incomincia con un fatto che accade e che ha la forma di un incontro; questo incontro si presenta come eccezionale: è l’imbattersi in un uomo che corrisponde alle esigenze originali di verità, giustizia, felicità, amore; tale eccezionalità genera uno stupore, che porta necessariamente con sé una segreta domanda: «Chi è costui?». Entra a questo punto in gioco la responsabilità dell’uomo, la sua risposta libera, capace di accettazione e di adesione oppure di negazione e di rifiuto.
2. La libertà
Condizione della fede è, dunque, la libertà. L’uomo percepisce di essere libero quando può soddisfare i propri desideri, ma poiché egli ha un desiderio infinito, la libertà è rapporto con l’infinito. Essa è imperfetta, in cammino, perché è il tentativo di approssimarsi a quell’infinito che l’uomo, nel corso della vita, non può ancora raggiungere. Per questo la libertà si manifesta nelle scelte che l’uomo di volta in volta compie: egli sceglie perché non è ancora di fronte, in modo compiuto, all’oggetto del proprio desiderio. Affinché la libertà scelga ciò che corrisponde maggiormente al cuore, occorrono una coscienza chiara dello scopo ultimo per cui l’uomo è stato creato e un governo di sé capace di mortificare l’attrattiva immediata più forte. A causa del peccato originale queste due condizioni non possono essere vissute pienamente da una persona isolata; da qui emerge il valore più evidente della compagnia umana nata da Cristo, la funzione di richiamo al destino e di sostegno al governo di sé.
3. L’obbedienza
L’obbedienza, adesione affettiva a Cristo, è l’atteggiamento che nasce come ragionevole conseguenza della fede. Gli apostoli continuavano a seguire Gesù anche quando ciò che diceva non era immediatamente comprensibile: avrebbero altrimenti dovuto rinnegare tutti i mesi precedenti in cui erano stati con Lui, in cui era diventata evidente l’eccezionalità di quell’uomo. Come Cristo si è fatto obbediente al Padre fino alla morte, così la vita dell’uomo che obbedisce diventa più grande, si realizza. Obbedire, seguire, guardare chi si ha davanti, implica capire ciò che dice e imitare il modo con cui agisce. La parola obbedienza, che indica i passi con cui l’uomo raggiunge il proprio destino, coincide così con la parola amicizia: una compagnia guidata al destino.
Parte seconda: speranza
4. La speranza
La speranza è il secondo fattore descrittivo della personalità cristiana; se la fede è riconoscere con certezza la presenza di Cristo, la speranza è la certezza nel futuro che si appoggia sulla certezza di questa presenza. L’uomo è spinto verso il futuro dal desiderio che le proprie esigenze si realizzino ma, in mezzo alle prove e alle contraddizioni della vita, non è in grado di sostenere da sé la sicurezza di tale compimento. Il destino diventa certezza soltanto nella misura in cui il desiderio dell’uomo si appoggia alla presenza di Cristo: senza la fede, la speranza sarebbe irragionevole e il sogno, desiderio di felicità definito secondo una forma immaginata, prenderebbe il posto dell’ideale.
L’oggetto della speranza è un bene «arduo». L’uomo, infatti, è inevitabilmente incerto rispetto a un futuro che non riesce a immaginare e il cammino della speranza implica una fatica, continuamente sostenuta dallo Spirito di Cristo. Tale fatica consiste nella fedeltà dell’appartenenza a Cristo, espressa come mendicanza, e nella domanda di perdono dopo lo sbaglio.
5. La povertà
La speranza si fonda unicamente sulla certezza della presenza di Cristo, perciò è ostacolata quando l’uomo colloca la sicurezza della propria felicità futura in un possesso da lui stabilito. Al contrario la povertà, ovvero il non sperare la propria felicità da un possesso determinato da sé ma dalla certezza che solo Dio compie i propri desideri, rende l’uomo libero da ogni cosa, lieto e certo che nulla gli manca, poiché tutto è suo. La povertà è un distacco dalle cose che permette di vederle e di usarle godendone di più.
6. La fiducia
L’esito della povertà che nasce dalla speranza si chiama fiducia: affidarsi a chi sostiene il peso di tutta la vita secondo una traiettoria che giunge fino al destino ultimo. La fiducia si attua come abbandono a Cristo, da cui sorge un’ingenua baldanza, un ottimismo profondo di fronte all’esistenza e alla storia. Viene meno l’orgoglio, e nasce una sicurezza anche di fronte alla propria debolezza. La sorgente della morale, così, non è più il rispetto di alcune leggi, ma l’amore a Cristo. La fiducia è una «festa» che travolge tutto, uno stato d’animo che rende l’uomo protagonista di una storia nuova, generatore di un popolo.
Parte terza: carità
7. La carità
La carità – dal greco charis, gratuità – indica la natura più profonda di quella Presenza che la fede riconosce. La carità è un agire per puro amore che abolisce ogni ritorno e si esaurisce nel desiderare il bene dell’altro, il destino dell’altro e quindi il suo rapporto con Cristo. La natura stessa di Dio è carità, dono di sé: Dio si dona creando, dando l’essere, e poi diventando uomo e morendo per l’uomo. Questa carità di Dio per l’uomo è una commozione verso di lui, verso il suo niente e il suo tradimento, ed è un giudizio, in quanto contiene in sé la sua ragione: che l’uomo si salvi, che partecipi all’essere e realizzi la felicità per cui è fatto.
Per l’uomo, la commozione fino al dono di sé ha origine nell’imitazione e nella sequela di Cristo e nella partecipazione al suo amore. Solo se il primo oggetto dell’amore è Cristo l’uomo diviene capace di carità, di guardare e trattare le persone e le cose come le guarda e le tratta Dio. L’applicazione della legge dell’amore – la cui misura è la totalità, dono di sé commosso – determina un nuovo tipo di vita, i cui aspetti fondamentali sono l’affermazione dell’altro unicamente perché c’è, la condivisione dei suoi bisogni, la capacità di perdono, l’affezione a ogni uomo. Nella misura in cui nell’uomo agiscono questi atteggiamenti, si determina in lui anche un cambiamento di mentalità il cui vertice è l’offerta della propria vita.
8. Il sacrificio
Dal punto di vista naturale il sacrificio è inconcepibile poiché appare contrario alla natura umana, fatta per la felicità. Da quando Dio si è fatto uomo ed è morto in croce, il sacrificio ha cominciato a diventare un valore. Morendo, infatti, Gesù non solo ha fatto capire che il sacrificio è interessante per il destino dell’uomo – è morto perché gli uomini potessero raggiungere il destino e salvarsi dalla morte –, ma ha anche mostrato che tutta la vita degli uomini è dominata dalla necessità di sacrificare. Nell’offerta del proprio vivere, nella partecipazione cosciente alla morte di Cristo attraverso l’accettazione delle circostanze della vita, il sacrificio diventa un valore. Poiché per il peccato originale l’uomo adora come «dio» qualcosa che non lo è – l’idolo –, il sacrificio è andare contro la menzogna, è affermare la cosa o l’altro per quello che è, per il destino che ha, senza alterarlo, senza piegarlo a sé (e questo vale con il figlio, con la donna, con l’amico).
Il sacrificio più vero è la fede, riconoscere una presenza: riconoscere Cristo presente, nelle circostanze storiche, di temperamento e di ambiente che non sono decise dall’uomo, ma stabilite dallo Spirito Santo (si chiama «carisma»). È un sacrificio il cui riverbero esistenziale è tuttavia la gioia più grande che si possa concepire.
9. La verginità
La verginità è la vita che testimonia la presenza di Cristo nel mondo, imitandone l’affezione e la tenerezza senza limiti. Egli sceglie alcuni che gli rendano testimonianza vivendo con Lui e come Lui, concependo la vita per il mondo, per il disegno di Dio nel mondo, per il destino degli uomini. Per amare veramente il destino dell’altro occorre un distacco, un sacrificio della propria reazione immediata: è il sacrificio che permette lo svelarsi della verità della cosa o della persona presente. La verginità è, dunque, la verità nel modo di amare che Cristo aveva e che hanno quelli chiamati a vivere come Lui. Questa verità del rapporto è il «centuplo quaggiù»: un anticipo della tenerezza eterna, un presentire nel rapporto con l’altro il modo in cui lo si vedrà per sempre nella trasparenza e nella trasfigurazione dell’eterno.