Introduzione: L’autore e la situazione da cui sorge
La tesi dottorale di Luigi Giussani, del 1954, esordisce con uno sguardo alla situazione culturale del tempo in cui vanno collocate le riflessioni di Reinhold Niebuhr. L’impronta religiosa che aveva caratterizzato gli inizi degli Stati Uniti d’America era stata segnata da due correnti principali: il Metodismo (messianismo sociale) e il Puritanesimo (moralismo e legalismo). A queste espressioni, caratterizzate da un ottimismo di stampo razionalista e naturalista, l’ambiente cristiano aveva reagito con forme di “umanismo cristiano” di cui il movimento del Social Gospel fu la più significativa espressione. Dopo un’iniziale adesione a esso, Niebuhr dovette constatare il fallimento di tale visione utopica, che lo spinse a una nuova e sistematica riflessione sul legame uomo-storia alla luce del Cristianesimo, e che sarà oggetto, tra le altre, delle due principali opere qui analizzate da Giussani: The Nature and Destiny of Man e Faith and History.
Parte Prima: Il problema umano. Il mezzo della sua soluzione
1. Il problema umano e i suoi elementi
Nella prima parte della tesi viene analizzato il problema umano da un punto di vista “essenziale”. L’esperienza umana rivela una serie di antinomie, riconducibili ai due elementi antitetici sussistenti nell’uomo: natura e spirito. Essi si manifestano come esperienza del limite e, al contempo, come capacità di trascendenza. Nel suo più alto grado lo spirito, come autotrascendenza e libertà, supera il limite della rationality e può pervenire alla propria autocoscienza. La dinamica tra natura e libertà trova il suo riverbero nella storia, come tensione nel presente tra necessità e possibilità di un suo trascendimento. Una tensione rispetto alla quale le risposte offerte dalle correnti idealiste, naturaliste razionaliste e romantiche peccano di ben tre riduzioni: l’eliminazione dell’individualità, la riduzione del male al bene e l’utopia del progresso. Anche le soluzioni proposte da una prospettiva cristiana, come la sintesi cattolica e la Riforma, converse nel disilluso ottimismo della Rinascenza, sono insufficienti agli occhi di Niebuhr. Necessaria diviene perciò una più dettagliata ricomprensione del ruolo della fede cristiana nella storia.
2. La Rivelazione cristiana
Niebuhr distingue tra Rivelazione privata o generale e Rivelazione pubblica o storico-sociale, rivelazioni interdipendenti e performanti. La prima è la testimonianza che nasce dalla coscienza del proprio limite, dalla percezione di un giudizio cui si è di fronte; una testimonianza che è, tuttavia, inevitabilmente esposta a soggettive interpretazioni e riduzioni. La seconda si basa, invece, su fatti specifici attraverso contingenze storiche, secondo una linea di salvezza il cui culmine è Cristo, la sua croce e resurrezione. Eventi definiti da Niebuhr “spunti” per la fede, in cui «l’intervento di Dio non è tanto un dato che suscita la fede, quanto una fede suscitata che valorizza un dato. […] Il Verbo si è manifestato nella carne, ma il Verbo non si è fatto carne». Prevale, cioè, la distinzione liberale tra il Dio della storia e il Dio della fede, secondo la quale gli eventi storici rivelativi sono simboli che la fede deve interpretare e che fanno della storia della salvezza più una “storia culturale”.
3. Fede e simboli
Nella concezione niebuhriana la fede viene definita come la capacità di cogliere pienamente il senso della rivelazione, di pervenire alla verità oltre i limiti della ragione. Fede intesa come apice della libertà, coscienza e trascendimento del limite, fede che rappresenta il superamento della riduzione della ragione a puro razionalismo, esperienza di un’«esigenza insoddisfatta» che non vanifica, tuttavia, l’esigenza di un senso delle cose. Importante è, perciò, per la fede tale «esperienza bivalente» di limite ed esigenza di superamento, definita il «fondamento naturale» dell’esperienza di fede, «l’embrione del senso religioso» dirà Giussani, il nucleo della «religione naturale». Gli avvenimenti particolari, i simboli che la fede è chiamata a interpretare rimangono, in questo senso, necessariamente sempre esposti a riduttive letture; essi rappresentano le tappe di una storia di salvezza che hanno valore di segno e non valore ontologico.
Parte Seconda. Sezione Prima: La situazione umana
Nella seconda parte della tesi, ora da un punto di vista biblico, il problema umano viene affrontato nel suo aspetto “esistenziale”.
1. Il simbolo del “primo Adamo”. Prima connotazione essenziale dell’uomo. Giussani analizza la lettura biblica che Niebuhr fa della struttura umana individuando due caratteristiche essenziali: l’uomo come creatura e come imago Dei. Creaturalità che si manifesta come esperienza della propria finitezza e dipendenza, del mistero della propria creazione dal nulla e il cui segno incontrovertibile è la morte. Al contempo l’uomo, come imago Dei, è segnato dall’esigenza di superamento di tale finitezza, da una capacità di infinito oltre i limiti della razionalità. Una capacità la cui connotazione principale è quella di essere soprattutto esigenza di un «senso». L’uomo come unità di divina somiglianza e creaturalità vive una dinamica di costruttiva tensione tra morte ed esigenza di un senso assoluto.
2. Il simbolo del “primo Adamo”. Seconda connotazione: la caduta come primo atto. La esistenza umana. Nel mito di Adamo, tale tensione tra necessità e libertà, dopo l’intervento del serpente, si manifesta esistenzialmente come stato di angoscia, come ansia di perfezione e angoscia di insicurezza. Uno stato d’animo che può decadere o nel peccato d’orgoglio o nell’esaltazione di un particolare dell’esistenza.
3. Il simbolo di Adamo. Terza connotazione: il significato della dottrina del peccato originale. Le caratteristiche del peccato. Tale caduta evidenzia così due aspetti “etici” del peccato: la sua inevitabilità strutturale e, al contempo, la responsabilità dell’uomo di fronte a esso. Di nuovo una tensione che viene declinata come esistenza originale e previa del peccato: il peccato del diavolo precede quello di Adamo. Un’inevitabilità del peccato che l’uomo tende a risolvere “quantitativamente” come prolungamento, come disordinato amore a sé. Una risposta perdente rispetto a una auspicabile soluzione “qualitativa” che Niebuhr indica nella obbediente soggezione a Dio. È, infatti, l’incredulità, la mancanza di fede a inficiare la volontà che a propria volta già in partenza si rivela difettosa. Ma è soprattutto l’esperienza del senso di colpa la conferma, anche psicologica, della condizione inevitabile del peccato. L’uomo al termine dell’azione constata un’insufficienza in cui, tuttavia, l’esperienza della vergogna non è annientamento. Anzi proprio il riconoscimento della propria inconsistenza, se da una parte dimostra l’inevitabilità del male, dall’altra rappresenta anche il trionfo della libertà stessa, che riconosce che la sua volontà non è fino in fondo libera di scegliere tra bene e male, che «l’uomo attua al massimo la sua libertà nella scoperta che egli non è libero».
4. La giustizia originale. Quarta connotazione: valore positivo del simbolo di Adamo. In questa drammatica constatazione sussiste un elemento positivo: la percezione dell’ideale con cui l’uomo si misura: «L’esigenza di ciò che l’uomo dovrebbe essere, nella sua purezza ideale, costituisce esattamente la giustizia originale». La coscienza inquieta dell’uomo riconosce l’esistenza di un ideale che gli si presenta nella duplice forma di legge naturale e legge dell’amore. Una legge naturale che, per la condizione relativa della ragione umana, non può essere compiutamente contenuta in nessuna norma «se non la norma definita dalle esigenze dell’io come libero spirito: fede, speranza e carità». Le virtù teologali, come legge suprema dell’io, danno voce al comandamento dell’amore. In questo senso, la visione biblica dell’amore conclude il quadro dell’esistenza umana in cui il peccato, pur corrompendo la sua vera essenza, non è l’ultima parola sull’uomo.
Parte Seconda. Sezione Seconda: Il destino umano
1. La preparazione del simbolo definitivo. Di fronte alle irrisolvibili domande dell’esistenza, l’attesa del Cristo si pone come il discriminante della cultura umana. Per molte culture (culture antistoriche) di stampo naturalistico o idealistico, l’idea dell’attesa di Cristo è giudicata come pura “pazzia”. Per le culture “storiche” resta, invece, il rischio di una riduttiva immagine riguardo alla modalità della sua venuta: secondo un “nazionalistico egoistico”, un “universalismo etico” o un “messianismo profetico”. La venuta di Cristo ha reso definitivi due aspetti: la coscienza degli uomini di essere tutti di fronte a Lui peccatori, e il Suo trionfo sul male soccombendo a esso, attraverso la “sofferenza vicaria”, l’amore sacrificale. L’agape umano-divino della Croce è la risposta alla tensione strutturale, essenziale ed esistenziale, dell’uomo.
2. Il simbolo del Cristo. Il secondo Adamo. L’espiazione vicaria non è solo la modalità dell’intervento salvifico di Cristo, ma rappresenta la norma stessa della natura umana: «la rivelazione del vero tipo umano». Il Cristo è il “secondo Adamo” che incarna, nell’illimitato amore sulla Croce, la via all’originale innocenza.
3. Il simbolo del Cristo. La Croce. La Croce è così l’inizio di una nuova “sapienza” in cui l’io non è più centrato su se stesso, ma sull’altro. Un amore non più mutuo, ma sacrificale che non può non apparire contraddittorio alla ragione, quella “stoltezza” che rappresenta, tuttavia, l’unica norma etica adeguata all’uomo. La Croce, come “giudizio divino”, è così castigo e redenzione dall’inevitabilità del male, ma come “misericordia e perdono” rivela la coesistenza di giustizia e misericordia e rappresenta la parola finale di Dio, la manifestazione della Sua libertà sopra la Sua stessa legge.
4. Il simbolo del Cristo. La Resurrezione. In questo senso l’annuncio della misericordia di Dio è come la resurrezione dell’io stesso secondo un percorso che va dalla contrizione alla riconciliazione con il divino, iniziativa di Dio resa possibile dallo Spirito Santo che l’io afferra grazie alla fede. Un possesso che culmina nella grazia come sapienza e come potere, ma che - come Giussani più volte ribadisce – è solo «in principle» e non «in fact». In questo senso anche la resurrezione si rivela solo un simbolo esistenziale per la completezza dell’umano alla fine della storia, un simbolo escatologico in cui si manifesterà il trionfo di Dio e il giudizio finale sulla storia stessa.
5. Sommario. L’antropologia biblica vede nell’idea di Dio il catalizzatore di tutti gli elementi della struttura umana come unità di tensione, in cui l’elemento finito è rappresentato dalla legge naturale e quello spirituale dalla legge di amore assoluto. Una tensione che, tuttavia, non può risolversi nell’esistenza, ma solo nella fede e nell’abbandono a Dio. La teleologia cristiana vedrà nella grazia come sapienza e potere la possibilità di risoluzione nell’al di là dell’esistenza. Così la soluzione del problema umano nella ricostruzione biblico-cristiana permette a Niebuhr di ripuntualizzare i diversi aspetti trattati - dalla dialettica tra i suoi elementi strutturali alla coscienza dell’esistenza e delle conseguenze del male, fino alla concezione della storia e al suo senso finale – trovando in essa il senso di completezza e serenità per l’esistenza dell’uomo.
Parte Terza: Sguardo critico
Nella terza parte finale della tesi, lo sguardo critico di Giussani prende le mosse dal problema centrale di tutta l’opera, cioè rispetto alla coscienza della verità costitutiva della Rivelazione cristiana. Per Giussani, l’opera di Niebuhr appare non tanto una testimonianza «alla verità di Cristo, cioè alla verità come Cristo l’ha portata, ma alla verità come un uomo ha creduto di vederla prendendo spunto da Cristo».
1. Il protestantesimo di Niebuhr. Il protestantesimo di Niebuhr si palesa prima di tutto nell’interpretazione dell’essenza del Cristianesimo. L’animo protestante, volendosi liberare dalle riduttive o false interpretazioni del passato, già dalla coscienza delle prime comunità cristiane, ne cerca una sempre nuova e più esatta lettura. Se, dunque, ogni protestante è profeta, quale sarà il criterio, quali gli elementi costitutivi del suo approccio? Giussani ne elenca due: il primo elemento è l’Innerlichkeit, cioè l’immediatezza interiore con Dio, il secondo è l’esegesi biblica. Se all’inizio essi furono complementari, con l’avvento del razionalismo prese forma una sempre più insanabile dicotomia. Da una parte si assiste all’esaltazione pietistica di tale interiorità fino a forme di autonoma pretesa di immediatezza con il divino, il cui apice è rappresentato da Schleiermacher; dall’altra un puro approccio storicistico alle scritture che concentra la sua attenzione non tanto sull’entità del fatto biblico, ma sul suo valore. L’esito che Giussani constata è la perdita di due oggettività: nel primo caso dell’oggettività del trascendente, nel secondo dell’oggettività dello stesso fondamento biblico. Vittima del suo proprio naturalismo e razionalismo, il protestantesimo vede la necessità di un ritorno alla metafisica, laddove alla ontologia tradizionale viene sostituita, a opera soprattutto di Karl Barth e della corrente neo-ortodossa o dialettica, una nuova “metafisica esistenziale”. Essa sancisce l’incolmabile distacco tra un Dio incondizionato e la creatura senza che né a livello epistemologico né ontologico: «L’unica possibilità per l’umano di intendere il divino stava così in quella intimità radicale in cui l’io viene fatto esistere da Dio». Alla mediazione del concetto viene sostituita l’immediatezza dell’incontro e la stessa esegesi biblica risulta determinata dal soggettivistico punto di vista, dalla propria esperienza personale. Niebuhr rientra sostanzialmente nella posizione della teologia dialettica ricadendo in due limiti, cioè che le stesse intuizioni esistenziali mancano della necessaria oggettività – l’id quod come lo chiamerà von Balthasar – con la conseguente incapacità di comunicazione concettuale.
2. L’esperienza esistenziale in Niebuhr. Se per la teologia dialettica il contenuto della nuova metafisica esistenziale era la “parola”, per Niebuhr esso si traduce in quell’“Oltre” contro cui l’io in azione “urta”, come Giudizio e come Legge. Un urto descritto con l’idea di tangenzialità, di un intervento tangenziale di Dio cui, secondo Niebuhr, l’uomo è predisposto. Due sono perciò le antinomie che Giussani rileva: da una parte il divino sarebbe inassimilabile dall’esistente e tuttavia parte dell’essenza umana; dall’altra la perfezione dell’agape nell’io escatologico non lo renderebbe compatibile con l’io esistente composto di spirito e natura. Per la dottrina cattolica, invece, Giussani chiarisce che non vi è nell’uomo alcun elemento univocabile col divino, ma che l’elemento divino è per così dir trovato dalla natura umana nell’esistenza grazie a quella sua capacità obedienziale che esprime la disponibilità radicale dello spirito creato di fronte al creatore. È un’apertura nativamente proporzionata a quella destinazione, un angolo infinitamente dilatato, come un angolo giro che fa dell’essenza umana una grande attesa. Eliminando la gratuità e soprannaturalità della grazia, Niebuhr elimina la discontinuità tra l’esistente e il divino immaginando il contatto con Dio come un “continuum” omogeneo con qualche elemento della struttura umana e il salto qualitativo tra i due ordini metafisici viene trasferito all’interno della stessa natura umana. Sopra-natura e natura sono due ordini distinti, mentre Niebuhr li concepisce come un totum naturale che ultimamente non garantisce neppure la libertà dell’amore, dell’agape.
3. La Bibbia in Niebuhr. Tale soggettiva esperienza si riverbera nel criterio di esegesi biblica. Se la Bibbia è il luogo in cui l’uomo incontra Dio, essa in fondo “dice” solo ciò che suscita nella coscienza umana. La coscienza dell’uomo diviene l’ultimo criterio interpretativo, un philosophicum inventum che reinterpreta i concetti di Rivelazione e Redenzione e sostituisce alla certezza ontologica un’esperienza psicologica: «la redenzione è l’influsso psicologico della rivelazione». Libertà e volontà non hanno conseguentemente una consistenza ontologica, la volontà è come l’organo attraverso il quale passa il flusso della vitalità spirituale. La stessa Chiesa viene svalutata nella sua datità e unicità nel tempo e nello spazio, categorie queste ultime anch’esse lette nel loro divenire meccanico, svuotate della loro consistenza come “presente”.
4. Conclusione. Al termine della dissertazione, Giussani elenca sinteticamente gli elementi negativi e positivi emersi dalla sua ricerca. Dal punto di vista antropologico-teleologico la contraddizione strutturale dell’uomo si presenta come irrisolvibile e dal punto di vista teologico «non si può parlare di senso cristiano dell’esistenza». Non volendosi poggiare sulla storicità di un Fatto, la costruzione niebuhriana si sviluppa sostanzialmente come etica di fronte a una Legge e non come charitas di fronte a una Persona. Il contributo della singola azione umana nella costruzione della storia, immerso nell’azione di Cristo, si relativizza di fronte a un compimento che avverrà indipendentemente dall’uomo stesso.
Molti sono tuttavia i pregi che Giussani ascrive all’opera di Niebuhr: prima di tutto la capacità di sintesi delle più attuali e complesse correnti spirituali, filosofiche e teologiche; l’affermazione di una spiritualità “realista” rispetto all’approccio positivista o di ottimismo naturalista; la testimonianza dell’attualità del contributo della Riforma rispetto al tema del male e dell’ambiguità insita nella struttura e nell’agire dell’uomo; ma, soprattutto - conclude Giussani – il contributo di Niebuhr consiste nel suo tentativo di risposta di fronte alla sempre attuale domanda e pungolo proveniente dalla categoria della “possibilità”. Niebuhr, conclude Giussani, «è una gran voce che al problematicismo moderno richiama quella ambiguità e questa contraddizione come l’anima troppo sconosciuta d’ogni problema – come il problema».