Nella semplicità del mio cuore lietamente Ti ho dato tutto
L’introduzione al volume, che coincide con l’intervento fatto da Luigi Giussani in occasione dell’incontro del Santo Padre Giovanni Paolo II con i movimenti ecclesiali a Roma nel 1998, esordisce con la domanda del Salmo 8: «Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi?». A questa domanda del salmista, secondo Giussani, solo un uomo, Cristo, è stato capace di rispondere ponendo un’altra domanda altrettanto decisiva – «Qual vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà se stesso?» –, la quale svela che solo Cristo è in grado di affermare il singolo uomo nella totalità della sua umanità. Questa eccezionalità di Cristo viene “intercettata” da chi vive una disponibilità e semplicità di cuore e, quando è riconosciuta, investe la totalità della vita cambiandola. La verità di tale riconoscimento ha poi un test infallibile: un’ultima tenace capacità di letizia che domina l’esistenza. Questa letizia, segno della gloria umana di Cristo, documenta la forza redentrice con cui Lui opera nella storia. Da questa Sua iniziativa è nato, dentro la Chiesa, un popolo – il movimento di Comunione e liberazione – protagonista nella storia della missione dell’unico Popolo di Dio, la Chiesa. In questa compagnia l’esperienza personale dell’infedeltà che sempre insorge nel cuore di ciascuno, rivelando l’imperfezione di ogni gesto umano, continua a urgere la memoria di Cristo. Per questo, la libertà dell’uomo si esprime, come ultimo ideale, nella mendicanza alla quale risponde, sfondando ogni possibile immagine umana, l’infinita misericordia del Mistero. Il vero protagonista della storia, infatti, è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo.
L’avvenimento cristiano come incontro
Secondo i tre autori del volume il problema di Cristo nel mondo si è posto quando, in un istante preciso del tempo, Dio si è fatto conoscere prendendo l’iniziativa e collocandosi definitivamente nella storia come fattore decisivo dell’esperienza umana. Le caratteristiche dell’incontro con Cristo sono quelle che si possono rintracciare nell’esperienza dei primi che l’hanno seguito: l’eccezionalità di un avvenimento umano che rende facile il riconoscerLo e una simpatia umana profonda che rende facile vivere il rapporto con Lui. In questo primo incontro si documenta il metodo semplicissimo con cui il Mistero ha deciso di prendere rapporto con l’uomo: l’avvenimento di un incontro. Nessuna parola o legge o discorso riesce a descrivere il cristianesimo come questa: avvenimento. In questo incontro l’uomo è salvato, cioè riconosce definitivamente quale è il suo destino e i passi per giungere a esso. Il termine «avvenimento» descrive, del resto, il metodo supremo di ogni tipo di conoscenza. Esso indica l’emergere nell’esperienza di qualcosa che non può essere analizzato in tutti i suoi fattori perché ha in sé un punto di fuga verso il Mistero. Quando accade un avvenimento entra nella vita qualcosa di tanto imprevedibile quanto però sperimentabile: in questo senso l’Incarnazione è un avvenimento, perché, sebbene imprevisto, si rivela totalmente corrispondente. Riconoscere che il reale sorge dal Mistero dovrebbe essere naturale per la ragione dell’uomo: essa, infatti, giunge al proprio culmine nel riconoscimento del significato ultimo dell’esistente. Tuttavia, la ragione da sola non riesce a vivere permanentemente questa intensità di rapporto con la realtà e cede, fissando la propria attenzione su cose particolari. L’ostilità della mentalità moderna nei confronti della parola «avvenimento» si riflette, poi, nella confusione operata tra il «senso religioso» e la «fede». Mentre il «senso religioso», infatti, indica il livello di quelle esigenze irriducibili che costituiscono la domanda di totalità della ragione umana (da qui nascono i tentativi delle religioni con cui l’uomo ha inteso immaginare il rapporto con il Mistero), nella dinamica della fede, invece, non è più la ragione che tenta di spiegare la realtà, ma si apre allo svelarsi stesso di Dio.
Questo rivelarsi del Mistero nella storia avviene nel fenomeno di un incontro in cui l’immaginatività e l’affettività dell’uomo sono calamitati dalla Sua presenza. Le caratteristiche di tale incontro sono la sua diversità irriducibile rispetto a ogni altro fenomeno umano (“corrispondenza impossibile”) e la sua pretesa totalizzante (forma di ogni rapporto). Chi è colpito da Cristo, Lo riconosce e aderisce a Lui, vive la fede: riconoscimento amoroso di una presenza eccezionale. La fede è, perciò, parte stessa dell’Avvenimento di Cristo che accade. Di fronte alla sovrabbondanza dell’iniziativa di Dio l’apporto dell’uomo si risolve, allora, nella domanda di poter rispondere alla Sua richiesta. L’avvenimento cristiano, infine, può essere anche descritto secondo due dimensioni: a) un avvenimento del passato rinvenibile nell’esperienza di un avvenimento presente, che ha una pretesa di significato per la vita (valore apologetico); b) un avvenimento presente spiegabile solo in forza di un avvenimento del passato, in cui tale pretesa è iniziata e alla quale si arriva per una memoria del contenuto di allora che ora si compie (valore educativo).
La permanenza dell’avvenimento nella storia (il tempio nel tempo)
L’avvenimento di Cristo permane nella storia attraverso la compagnia dei credenti, che diventano parte del Suo Corpo attraverso il Battesimo. L’identità tra i cristiani e Cristo stesso è bene espressa dalla domanda che Egli rivolse a Saulo, persecutore di cristiani, sulla via di Damasco: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Il rapporto di unità che si stabilisce tra il credente e Cristo dà forma al rapporto di unità fra tutti i fedeli. Questa unità umanamente sperimentabile avviene, perciò, per la grazia di un avvenimento e si chiama «comunione».
La dinamica generativa e di sviluppo del Corpo di Cristo che è la Chiesa può essere identificata dalla legge della scelta o elezione. Tutta la storia del popolo ebraico si pone come prefigurazione di ciò che sarebbe accaduto all’umanità con la venuta di Cristo. La grande elezione, infatti, che Dio ha operato nella storia è quella di Cristo, il «mandato», perché nella Sua persona il Mistero si è rivelato come il senso di tutta la storia umana e della realtà. Questa dinamica ha avuto in Maria il primo punto generativo: ella è stata scelta affinché fosse il primo tempio di Dio nel mondo. Tale dimora umana del Mistero si dilata nel tempo e nello spazio attraverso l’elezione di uomini costituiti come una realtà unica, la Chiesa. Il culmine e il senso della creazione dello Spirito è, infatti, il dilatarsi della Sua Chiesa che è lo strumento attraverso cui Cristo stesso si comunica nel tempo e nello spazio. La familiarità quotidiana di Dio con noi si realizza attraverso avvenimenti e persone che richiamano direttamente a Lui: miracolo e santità. Egli non rimane, infatti, una presenza isolata nella lontananza della storia, ma è una «Presenza» oggi, duemila anni dopo la Sua morte, attraverso l’umanità eccezionale dei santi, una presenza umana impossibile a pensarsi.
Cristo prende l’uomo attraverso un fatto oggettivo: il Battesimo. Esso implica la partecipazione della persona al Mistero della persona di Cristo. Da questo segno fragile ma reale ha inizio una personalità nuova. Normalmente però questo gesto di elezione affonda nella smemoratezza diventando un fattore estraneo nella vita quotidiana. Per percepire il Mistero nell’istante occorre perciò un incontro in cui ciò a cui si è stati chiamati nel Battesimo cresce e diventa grande. Attraverso tale incontro inizia a vivere nel battezzato la memoria, ovvero la coscienza della Presenza di Cristo. «Questa è la vittoria che vince il mondo: la fede».
La compagnia dove accade questo incontro diventa il luogo dell’appartenenza del proprio io. Essa è un ambito dal quale prende abbrivio una modalità diversa di percepire e di aderire alla realtà: dire “io” non coincide più con quello che penso e sento di me, ma «con quello che di me pensa e vuole quest’Uomo». Da qui nasce la formula morale riassuntiva per la prassi di una vita cristiana: «Il sacrificio più grande è dare la vita per l’opera di un Altro».
Dall’adesione (affectus) a questo avvenimento nasce una nuova capacità di sguardo sul reale. Il cristiano è, così, introdotto a un paragone con i fatti della vita presente a partire dall’appartenenza a quello che ha incontrato. La conoscenza nuova implica, perciò, l’essere in contemporaneità con l’avvenimento che la genera e continuamente la sostiene. La modalità con cui nasce il criterio per giudicare è indicata dalla parola «sguardo». È una lealtà dello sguardo di fronte all’avvenimento incontrato, infatti, che permette che nasca un criterio nuovo di giudizio. Così, si può affermare con San Paolo che «pur vivendo nella carne, vivo nella fede del Figlio di Dio». Tutto è riconosciuto in nesso col Mistero diventato carne, Gesù: Egli, infatti, è la consistenza ultima del reale.
La moralità cristiana ha la stessa origine della conoscenza nuova, in quanto è entrata nel mondo con Cristo ed è generata continuamente dall’appartenenza all’avvenimento della Sua presenza. Analogamente al dinamismo della ragione, un atto è morale quando mantiene l’originale apertura alla realtà con cui Dio ci crea continuamente. Tale capacità morale trae la sua energia dalla coscienza di essere peccatori e dalla fedeltà alla compagnia cristiana, sostegno e correzione nel cammino. In Gesù che raggiunge oggi l’uomo attraverso la Chiesa si svela il rapporto di Dio con la Sua creatura come amore e quindi come misericordia. La nostra imitazione di Lui avviene, perciò, nello spazio della coscienza che Dio ci ama dentro il nostro male. Il bene, perciò, non è una categoria astratta, ma coincide con l’aderire a Lui e con il desiderio di testimoniare la Sua presenza ovunque, affinché questa Presenza domini il mondo.
Se il soggetto è, dunque, perché é amato dalla presenza di Dio, allora ciò che rende possibile il suo diventare protagonista di un mondo nuovo, ovvero la sua «responsabilità», coincide con il rispondere alla presenza del divino. La decisione, però, non può essere intesa in senso volontaristico o sentimentale, perché essa nasce dalla simpatia profonda nei confronti di quella presenza. Come per gli apostoli che gli dissero: «Se andiamo via da Te, dove andiamo? Tu solo hai parole che spiegano la vita».
L’io nuovo nasce dal gesto di elezione di Cristo che lo inserisce nella Chiesa secondo una forma storica concreta: la compagnia nella quale Cristo è diventato compagno alla sua vita e si stringe a lui nel cammino. Parametro fondamentale per il costituirsi della struttura di questa compagnia in una dimensione reale e quotidiana è la «casa», il «tempio». Tale dimora può essere di due specie: la famiglia e il monastero.
L’avvenimento accade oggi secondo una determinata forma che abilita a un modo di affrontarlo e lo rende più comprensibile, persuasivo e pedagogico. Il carisma rappresenta la modalità di tempo, spazio, carattere, temperamento, la modalità psicologica, affettiva, intellettuale, con cui il Signore diventa avvenimento per il singolo e, attraverso di lui, anche per gli altri. Ognuno ha la responsabilità del carisma incontrato, che assume una flessione varia e approssimativa nella misura della generosità di ciascuno. Questa è la legge della generosità: dare la propria vita per l’opera di un Altro, fatto che implica sempre un nesso tra la parola «Altro» e un riferimento preciso, con nome e cognome.
Un popolo nuovo nella storia per la gloria umana di Cristo
La compagnia di coloro che Cristo ha immedesimato a Sé nella Chiesa, Suo Corpo, vive e si manifesta come un popolo nuovo che Dio ha scelto. La vita di coloro che vi appartengono è determinata da tre fattori: primo, un ideale comune per cui vale la pena vivere e se necessario anche morire; secondo, l’identificazione degli strumenti e dei metodi adeguati per raggiungere l’ideale; terzo, la fedeltà vicendevole in cui uno aiuta l’altro nel cammino verso la realizzazione di quell’ideale. La connessione tra la vocazione personale e il disegno universale di Dio è espresso dal «sì» di Simone e dal compito che Cristo gli affida: «Pasci i miei agnelli». È l’inizio di una modalità nuova che investe il rapporto non solo tra la singola persona e Gesù, ma anche con la realtà intera.
Alla radice di essa sta il trionfo della pietà che Cristo ha avuto per l’uomo e che continua ad avvenire attraverso il perdono, in un’attività inesausta a riprendere da capo mille volte al giorno. Il popolo di Dio che nasce è una comunione che ha un fondamento ontologico («Tutti voi siete una persona sola in Cristo Gesù»): un’unità che non è omologazione ma al contrario esaltazione della singolarità. Il popolo di Dio, inoltre, è un protagonista capace di incidere nella storia, nella società e nella politica fino alla creazione di una vera e propria civiltà. Il fondamento di questa nuova civiltà si concretizza in una sussidiarietà realizzata, ovvero in un aiuto vicendevole a compiere ciò che manca all’altro. La responsabilità dei cristiani perciò è, innanzitutto, essere quello che hanno conosciuto.
La gloria umana di Cristo come scopo del Mistero del Padre appartiene a questo mondo. È, infatti, l’attuarsi del disegno di Dio dentro i termini del tempo e dello spazio. Un uomo morto duemila anni fa non potrebbe essere presente oggi. Se è presente è perché Egli è Dio. Questa è la glorificazione di Cristo: riconoscere un presente che è dominante. Niente è capace di riempire il cuore come la passione per la gloria di Cristo. Questo giudizio ha costituito sin dai suoi inizi una sorta di programma quotidiano del movimento di Comunione e liberazione.
C’è un nemico che si pone contro il popolo di Dio dall’inizio alla fine del mondo: Satana. L’odio a Cristo è la ferita misteriosa che il peccato originale lascia nel tempo umano; esso si articola e diventa concreto giorno per giorno attraverso tutti i tipi di potere che non traggano la loro origine dall’obbedienza al potere supremo del Padre. L’ultimo capillare di questo odio a Cristo è il nostro io, dimentico e indifferente. Il rifiuto comincia lì, in un odio vissuto come estraneità palesemente confortata e alimentata. L’assenza di Cristo è l’assenza della sua vita, così che tende a produrre un’«amoralità», ovvero un’assenza di responsabilità verso l’esistenza personale e collettiva. In questa situazione del mondo, che senza l’intervento di Dio sarebbe normale, l’iniziativa di Cristo presente continuamente fa vivere e rinnova il Suo popolo.
I cristiani partecipano alla missione di Cristo e come Lui sono anch’essi «mandati» dal Padre. Questa coscienza nuova di vivere per un Altro giudica tutti i rapporti della vita e rende capaci di amare ogni brandello di verità presente in chiunque. La nuova cultura che nasce dal cristianesimo vissuto, bene espressa dal termine «ecumenismo», consiste in una diversa coscienza di percorrere il cammino comune e implica una comunionalità reale che inizia e si realizza come soggetto intero della società, del mondo, della storia dell’uomo, dell’universo intero: la Chiesa come Corpo di Cristo.
Tale unità umana, di cui Cristo è il fondamento ha due caratteristiche: è totalizzante e cattolica perché tende a determinare tutti i rapporti in una tensione continua alla scoperta del vero e all’affermazione del bene in tutto.
Da questa concezione di cultura e di ecumenismo nasce la necessità di un’educazione diversa. La compagnia cristiana, intesa come dimora dell’umano, infatti, deve introdurre persuasivamente, pedagogicamente e sistematicamente nel paragone con la realtà fino ai suoi estremi confini, ridestando e sostenendo l’insieme di domande e di evidenze originarie che costituiscono il cuore di ciascuno. L’uomo è così educato a verificare nella sua vita tutte le implicazioni dell’Infinito stesso, secondo la pienezza che questa Presenza suggerisce al cuore. Non si può educare un soggetto se non rivolgendosi alla sua libertà, ovvero quel livello della natura in cui essa diventa capace di rapporto con l’Infinito, impegnandola alla responsabilità e all’azione. L’educazione alla libertà compiuta si esprime nell’educare alla vita sociale secondo quattro punti fondamentali: l’educazione al lavoro e alle opere, la libertà di educazione, l’educazione alla giustizia e l’educazione alla vita politica. Caratteristica comune diventa, allora, una gratuità che cerca di testimoniare la verità dell’avvenimento di Cristo presente.
Il giorno di Cristo. Il giorno della misericordia
Solo la «misericordia» permette il cammino di un popolo, perché unicamente in essa può essere continuamente generato, soprattutto quando non riesce più a immaginare la strada con verità. Solo Dio, infatti, può guardare l’uomo nella sua totalità. La misericordia non è una parola umana; essa è identica alla parola Mistero. Umanamente, infatti, appare alla ragione dell’uomo quasi come un’ingiustizia o un’irrazionalità, in quanto non rientra nella sua capacità di misurare, non ha ragioni apparenti. La misericordia, infatti, è propria dell’Essere, ovvero del Mistero infinito. L’uomo può solo imitare questo atteggiamento di Dio: questo è possibile solo grazie alla rivelazione della misericordia stessa che desta nell’uomo uno stupore carico di dolore di sé di fronte al Mistero dell’Essere e un desiderio di essere come Lui. Il punto in cui Dio si manifesta come misericordia è Cristo stesso. In Lui che Dio sia amore significa che lo scopo di tutto ciò che esiste è assolutamente positivo. Dio si mostra, così, come l’ipotesi positiva su tutto ciò che l’uomo vive. La vocazione del cristiano è accettare questa vittoria ed essere disponibile al Suo volere.