Antefatto
A partire dal 1973 gli universitari di Comunione e Liberazione iniziarono a essere una presenza sempre più viva in tutta Italia. Con le elezioni di ateneo, fino alla battaglia sul divorzio e alle elezioni politiche, essi si mostrarono come alternativa all’egemonia borghese o rivoluzionaria. La durezza dello scontro, tuttavia, rese poco chiaro nel tempo il motivo di quell’azione. Per questo, a metà degli anni Settanta, alcuni studenti dell’Università Cattolica, che sentivano questo disagio, cominciarono a legarsi maggiormente a Giussani e a chiedere il suo aiuto. Nel settembre 1975 in un incontro con universitari di vari atenei, Giussani intervenne sottolineando che il problema non era il CLU, ma l’«io». Ciò che rende unita la vita non sono le azioni, ma è Cristo e l’unità con gli altri nasce solo dall’unità con Lui. La modalità con cui Cristo si rende presente è la comunità, perciò il metodo per incrementare il rapporto con Lui è la sequela, che riguarda prima di tutto l’autorità e la Scuola di comunità. Solo dal rapporto con Lui può sorgere un’identità consapevole, quindi un giudizio nuovo e da ultimo un nuovo modo di agire.
1975
Persona e comunione di base
L’attività pubblica svolta in università in quegli anni ha generato una stanchezza che aveva dentro un’esigenza di maturità. Il problema è che non si conosceva il metodo per raggiungere tale maturità. Mancava, perciò, il gusto del vivere. Spesso si cerca questo gusto nelle azioni contingenti mentre l’unica fonte dalla quale esso può sorgere è l’affezione a Cristo. Il problema del CLU ieri come oggi non sono, perciò, le sue attività ma le singole persone con il loro desiderio. Dall’immedesimazione con Cristo nasce così un soggetto nuovo che si esprime come appartenenza a un Altro. Questa appartenenza genera un’unità che non si esprime come un’unità politica ma come comunione. La «comunione di base» è ciò che manca alle comunità, non come struttura, ma come sentimento dell’umano, come modo di essere insieme. L’«identità culturale» del Movimento è un modo nuovo di possedere la realtà in Cristo.
Che cosa abbiamo pensato, detto e fatto di più?
Normalmente la vita è vissuta come una negatività. L’unico modo perché essa si trasformi è che diventi strumento di un amore. La positività nasce dal giudizio di valore che permette di riconoscere Cristo come fondamento di tutta la vita. Se in Lui ogni cosa consiste, coloro che lo seguono diventano un unico soggetto, tra loro nasce un’unità che è l’unica vera comunione. L’unità della comunità, corpo misterioso di Cristo, è il soggetto che trascina la storia verso il suo destino. Per questo la vita di ciascuno si fonda nel rapporto con gli altri, concretamente, nel luogo in cui uno vive. Una simile unità è il vero avvenimento nuovo della storia. Da essa si trasformano le tre dimensioni fondamentali della personalità umana. La cultura non è più ideologica ma è lo sviluppo critico di questo gusto nel vivere. La carità non è artificiale interessamento agli altri ma è il riverbero dell’unità della comunità. Infine, il sintomo più amaro dell’aridità di una comunità è l’assenza di missione.
1976
Nella fede, uomo e popolo
L’unica domanda alla quale è decisivo trovare una risposta è: «Cos’è la fede?». Comunione e Liberazione non ha nessun ruolo se non quello di essere richiamo alla fede e per capire cosa essa sia bisogna tornare a Giovanni e Andrea. Per loro la fede era riconoscere in quell’uomo, Cristo, una presenza divina che li liberava. Questo è ciò che vince il mondo e che genera unità, perciò l’appartenenza al popolo che Lui ha generato è la vera identità del soggetto.
Dall’utopia alla presenza
Il destino di una comunità dipende dalla scelta che si opera tra utopia e presenza. Una presenza è determinata dalla coscienza della sua identità. L’identità del cristiano coincide con l’immedesimazione con Cristo il quale, scegliendolo, lo ha reso un uomo nuovo. Dall’affezione a questa identità nasce l’amore alla Chiesa e alla comunità concreta nella quale egli vive e solo a partire da una simile esperienza è possibile il cambiamento personale che diversamente sarebbe ridotto ad un moralismo. Il metodo per giungere a tale maturità è seguire l’autorità, che in fondo coincide con la vera amicizia. Eppure, spesso, nasce la tentazione dell’utopia, vale a dire il tentativo di realizzare nel futuro un’immagine creata da noi. L’utopia si esprime in un discorso che cerca ansiosamente di realizzare il suo progetto, mentre l’unica vera novità è la presenza, che si esprime in un’amicizia operante. Quando si lotta per qualcosa che non esiste, si rimane delusi, mentre il problema è piantare il seme della presenza. Il lavoro vero è portare questa identità dentro la materialità del vivere perché la passione per l’ideale vive dentro l’effimero. Quello che è chiesto è una svolta importante, l’inizio di un lavoro nuovo che si fonda sulla presenza, non intesa in senso astratto, ma incarnata nella condizione in cui si è, quella universitaria. Ogni comunità di ateneo attinge da un ambito più grande al quale appartiene, il Movimento, e questi luoghi favoriscono e sostengono le domande che nascono nell’impatto col reale.
1977
Nella condizione universitaria
Presenza non è un progetto, ma una scelta vocazionale, la scelta che Cristo ha fatto chiamandoci e che noi dobbiamo riconoscere. Senza questo Comunione e Liberazione coincide con posizioni culturali o politiche, mentre il punto determinante è un incontro che ha suscitato una speranza di vita. Questa provocazione resta viva e non diventa intellettualistica non grazie a delle tecniche ma seguendo una compagnia autorevole. Essa permette di restare attaccati al fatto accaduto senza voler far prevalere la propria opinione sull’unità.
Una presenza di vita
La comunità non è la risoluzione a un problema di convivenza sociale per chi intenda fuggire dalle circostanze. Le circostanze, al contrario, sono il modo concreto con cui il Padre educa ciascuno. Il problema non è fare discorsi giusti, ma testimoniare una vita nuova e questo compito riguarda in primo luogo i responsabili della comunità. Per questo i responsabili non possono agire come funzionari, ma sono chiamati a vivere la presenza. L’unità tra loro non può essere formale, ma deve nascere dall’obbedienza al Movimento. Se l’obbedienza non è vissuta in loro, non la comunicheranno mai agli altri. Solo da questa unità possono rinascere la missione e la cultura.
La forza di una proposta
Il problema più grave del CLU è la presenza. Se non ci si rende conto di essa si perde tutto. Ma cos’è una presenza? È la forza di una proposta nel presente che deriva la sua forza da un fatto passato: Cristo. La fisionomia che questa proposta assume nell’ambiente è l’autorità, la presenza è un luogo autorevole dove l’umano avvera se stesso. Per poter verificare questo fatto occorre seguire. L’alternativa alla presenza è affidarsi a un progetto particolare, portato avanti non da un’autorità, ma da un “personaggio”. Questo però genera solo associazionismo, ossia non aiuta a vivere ma rende tutti succubi del capo. Perché nel Movimento si è insinuata questa tentazione? Perché ci si è dedicati alla liberazione dando per scontata la comunione. Invece, l’avvenimento accade nella persona e il Movimento è lo strumento con cui Cristo incide nella vita. È dalla sequela a questo avvenimento che nasce la comunione.
Che cos’è il movimento?
C’è ormai un’assenza profonda del senso del Movimento. Questo si manifesta in un’impermeabilità assoluta e in una lontananza dal contenuto della sua parola, perché si crede di sapere già. Poiché non c’è il gusto dell’esperienza del Movimento, ciò che rimane è solo l’aspetto disciplinare di obbedienza al capo. Occorre ripartire dalla natura del cristianesimo, dal bisogno di bellezza insito nel cuore dell’uomo al quale Cristo risponde con l’Incarnazione.
1978
Genesi personale della cultura: la verifica come inizio
La parola fondamentale su cui si è lavorato è quella di «presenza», ma una presenza è tale se prende consistenza come giudizio. La base per questo giudizio è l’umanità che ci è data perché agisca nelle circostanze. Occorre iniziare il cammino del giudizio, che nella continuità diventa cultura. L’alternativa per la vita di ciascuno è radicale: o vivere come un fascio di istinti e reazioni oppure vivere l’avvenimento che ci è stato annunciato. Il rischio è quello di continuare a vivere come tutti ma la verifica serve a evitare questa deriva. Perché questo accada, però, non si può dare per scontata la fede. La cultura non coincide con una serie di iniziative, ma è generata da un avvenimento, da una vita nuova. La cultura è un fatto personale, che trae fondamento da quella Presenza che ha preso l’umanità di ciascuno, penetrando la nostra ragione e il nostro cuore. Non è un giudizio dogmatico ma è una conoscenza nuova che il cuore e la libertà di ognuno sono chiamati ad abbracciare. La verifica è prendere coscienza di questo avvenimento e il criterio della verifica è la propria esperienza originaria, provocata nell’incontro con Cristo. Il prolungamento di tale avvenimento che giunge fino a noi è la tradizione, per questo l’autorità è il fattore genetico della cultura e il metodo per verificarla è la comunione nella sequela dell’autorità. L’autorità in questo senso non è un ruolo, ma una dimensione della persona. È un avvenimento attraverso il quale l’incontro iniziale continua a essere una proposta oggettiva per la persona.
Il desiderio del cambiamento
Emergono nella comunità molte difficoltà nel vivere la comunione, la Scuola di comunità, nel seguire le indicazioni del Movimento. Occorre cambiare radicalmente: il primo segno della serietà con la propria persona è percepire l’urgenza di questo cambiamento. Il cambiamento avviene solo in una sequela e il primo punto di sequela in una comunità è la diaconia. Essa non è una funzione o un aspetto organizzativo, ma il luogo oggettivo dell’unità. Se non nasce da una vera comunione, si chiude in se stessa e non sarà mai autorevole. La diaconia verrà seguita solo se segue a sua volta il centro del Movimento. Occorre immedesimarsi con la sensibilità di chi guida il Movimento, altrimenti non ci sarà alcun cambiamento. Il fattore che fonda tutto questo è la presenza. Negli ultimi anni si è puntato tutto su un progetto di cambiamento politico e culturale che non ha avuto alcuna incidenza e si è stati assimilati nuovamente alla mentalità del mondo. Invece, l’unico progetto di cambiamento possibile si chiama Cristo e rendere presenza questo introduce un modo nuovo di affrontare le cose che si sono sempre fatte. La presenza è portare il significato nuovo della realtà, che è Cristo. Da qui rinasce la vita in università, il rapporto con i compagni, lo studio, l’ambiente. Se non si sfida l’ambiente in cui siamo con la forza della presenza incontrata, si resterà nel Movimento in modo formale. Cristo, infatti, rivela se stesso nella sua diversità con il mondo, sfidando il mondo. Lo strumento principale della presenza è la Scuola di comunità che permette di centrare continuamente il giudizio e di sostenerlo.
Che cos’è il cristianesimo?
Il tema iniziale dell’assemblea avrebbe dovuto essere la situazione del Movimento, ma cambiandolo si è domandato: che cos’è il cristianesimo? Nel Movimento tutto ciò è dato per scontato e quindi il vero oggetto della nostra esperienza sfugge. Il cristianesimo è stato ridotto dall’umanesimo a una sapienza o a una morale, perché questi sono fenomeni controllabili, mentre la sua vera natura è incontrollabile. È un fatto, il fatto di un uomo che ha detto di essere Dio. Da qui sorgono due corollari: il primo è che per entrare in contatto con questo fatto occorre un incontro che renda presente quell’evento originale; il secondo corollario è l’unità. Infatti, se il destino di ciascuno è ciò che di più importante ci sia e se il destino è lo stesso, si vive una cosa sola e nasce la comunione. Senza questo la vita del Movimento diventa formalismo e inerzia. Invece la genesi è sempre l’incontro con un’umanità realizzata che ridesta il nostro umano e trasforma il rapporto con tutto, perché il rapporto con Cristo è la verità di tutto ciò che si vive. La fede è una modalità sovversiva e sorprendente di vivere le solite cose e vedere in atto ciò è assistere a un miracolo. Non è questione di essere visionari: ciò che si sperimenta è il cambiamento reale della nostra umanità. Nasce allora la sequela, che implica il rischio totale di se stessi e non solo l’obbedienza alle direttive. Non si segue chiunque, ma chi ha come interlocutore la nostra umanità, la nostra persona.