Vengono raccolti nel volume testi di “letture” tenute da Giussani su alcuni autori a lui cari e, in appendice, su alcuni film; sono letture occasionali e dunque distanti da un tentativo critico-letterario, ma presentano una profondità di sguardo e una potenza di immedesimazione che rivela il cuore dell’opera o dell’autore preso in considerazione. L’ipotesi metodologica è che il genio, laddove si esprime più compiutamente, arriva ad essere profeta del livello in cui tutta la realtà consiste: cioè Cristo.
Giacomo Leopardi al culmine del suo genio profetico
Il testo è anche uno spaccato autobiografico di Giussani; raccontando del suo precoce incontro con Leopardi (dodici anni), Giussani centra la questione più urgente della vita: «[poiché] un uomo non è definito dal proprio limite, [poiché] non è definito da quello che è, [poiché] un’attrattiva nella realtà rimane aperta, questo significa l’inevitabile affermazione di una presenza, di una risposta ultima. Tale affermazione di una presenza positiva ultima è così implicita nella ragione, intesa come coscienza del reale, che Leopardi ha finito perfino per riconoscerla». Il percorso di letture mostra e documenta che Leopardi, sulla scia dell’inno Ad Aspasia, in un momento «equilibrato e potente», scriva Alla sua donna come una «sublime preghiera» e si faccia profeta, «nel senso letterale della parola», dell’Incarnazione.
Una lettura del Pascoli sui destini ultimi
La lettura affronta i Primi poemetti di Giovanni Pascoli, autore continuamente letto e meditato da Giussani; il metodo di lettura è ben descritto nelle prime righe: «Il genio non può esprimersi se non – anche contro voglia – profetizzando». La prima sottolineatura riguarda la caratteristica della poetica pascoliana per cui una «piccola banalità» diventa «segno» e quindi «simbolo cosmico»: leggendo i poemetti La grande aspirazione e Il libro, Giussani introduce e inizia a svelare la metafisica pascoliana, e cioè «l’immagine che Pascoli aveva delle ultime cose umane». Questa immagine dei «destini ultimi», rintracciata nei Primi poemetti, rivela una religiosità profonda e radicata, anche se occultata allo sguardo di un lettore superficiale. Essa si struttura principalmente riguardo a due questioni: la grande solitudine umana nell’universo, infinito e silente, e la grande esigenza di perdono e compagnia. L’indagine pascoliana, tacitamente, arriva ad implicare «qualcosa d’Altro» che occorre si manifesti nella vita, qualcosa d’altro che non sia solo un’etica umana realizzata, ma scaturisca da un «quid sconosciuto […] da questa positività, sia pure misteriosa».
Il dramma di Clemente Rebora
I valori tematici fondamentali della espressione reboriana vengono subito rintracciati da Giussani all’inizio della lettura: «onnicomprensività che cammina carica dell’ardore di desiderio, si scontra con il limite (la morte) e vi scopre l’eterno». Rebora viene presentato prima di tutto, anche prima del suo sacerdozio, come un «pauper evangelicus», come un uomo buono, carico di positività di fronte al mistero delle cose, che intuisce che l’uomo «è, e non “si inventa”», collaboratore della realtà misteriosa cui è posto d’innanzi. L’uomo dunque con la sua intelligenza, le sue parole, il suo corpo collabora con il senso della realtà, non solo con alcuni «stralci della realtà, stralci operati secondo preconcetti propri, o secondo preventivi». Da questa posizione umana il percorso di Rebora diventa «tensione a togliere il più possibile veli di questo nascondimento, tensione a Dio». La lettura documenta, attraverso vari Frammenti lirici e poesie successive, la domanda che «spasima l’anima in tutte le sue doglie» e la certezza di risposta, «verrà se resisto» (se sono coerente con la mia natura commenta Giussani), e la poesia come missione nei confronti del lettore: «Tu, lettor, nel breve suono / Che fa chicco dell’immenso / Odi il senso del mondo: / E consentire ti giovi».
Il problema della conversione in Ada Negri
Con questa lettura Giussani intende «aiutare a comprendere come avviene in Ada Negri la conversione, cioè la scoperta che tutto è atto d’amore, che tutto viene unito da questo, e che questa unità interessa anche il male, perché anche il male è vinto da questa unità». Nel percorso sull’autrice, spicca il commento alla poesia Mia giovinezza, «il momento in cui Ada Negri ha meglio intuito il motivo della sua conversione», e il passaggio finale sulla poesia La verità in cui l’autrice scopre «che è possibile un amore senza ritorno, che l’impossibile diviene possibile».
La forma dell’io: Dante e san Paolo
Giussani tiene una lezione sulla caratteristica originale e ultima dell’Io a partire da suggerimenti raccolti dalla Divina Commedia e dalle lettere paoline. Il centro del percorso è la frase di san Paolo: «Vivo, non io; sei Tu che vivi in me», che descrive bene come l’Io sia prima di tutto rapporto, o la citazione dantesca: «L’ora / del buon dolor ch’a Dio mi rimarita», cioè «aderire a Dio come una sposa aderisce allo sposo». Essendo dunque l’Io strutturalmente compagnia, nella vita normale la coscienza di appartenere a Cristo diventa coscienza di appartenere al popolo, alla compagnia di Cristo e perciò «se la compagnia ha origine in un’iniziativa divina, lo sguardo che occorre imparare è quello della compagnia stessa».
Montale, la ragione e l’imprevisto
Montale, «maestro di vita, da quando ero adolescente», viene citato e commentato come punto di riferimento per comprendere la questione della «ragione» (e della sua possibile riduzione) e l’esigenza di un «imprevisto» che realizzi «l’attesa della saggezza umana». Giussani leggendo le poesie Forse un mattino andando in un’aria di vetro e Prima del viaggio mostra come le grandi intuizioni di Montale siano emblematiche della condizione umana; l’osservazione della realtà porta alla constatazione problematica «dell’effimero delle cose», del loro essere apparentemente nulla e dunque apre alla grande opzione tra il nichilismo o l’affermazione del Mistero: affermazione del Mistero e cioè affermazione strenua, anche contro le manipolazioni del potere, della categoria della possibilità.
L’amore come generazione dell’umano. Lettura de L’annunzio a Maria di Paul Claudel
La lettura è una guida all’opera su cui, secondo Giussani, è nato il Movimento di Comunione e Liberazione e che egli ritiene sia «la più grande poesia di questo secolo». Il tema è il titolo stesso della lettura ed è un approfondimento sia dell’atteggiamento umano per cui fiorisce la vita sia di quello che invece la nega. Il discrimine è l’amore inteso nel suo significato autentico di «essere per, essere per l’Ideale, essere per il disegno totale, dove la bellezza e la giustizia sono salve». Chi vive per l’amore e lo accetta nella sua dimensione necessaria di sacrificio vive, nella sua quotidianità, il miracolo della novità e del significato; chi vive per l’amore ma lo riduce a progetto, calcolo, rifiutandone la sua parte di dolore, vive per la morte. L’opera è presentata da Giussani come un grande dialogo tra queste due posizioni umane (a cui si possono ricondurre tutti i personaggi principali) dove solo una è portatrice di bellezza e positività. La constatazione di Pietro di Craon: «E perché tormentarsi quando è così semplice obbedire?» indica la regola di chi vuole vivere in funzione del disegno totale.
Coscienza della Chiesa nel mondo moderno nei Cori da «La rocca» di T. S. Eliot
La lettura è un affondo sulla coscienza della Chiesa nel mondo, attraverso la poesia e il genio di Eliot; la questione ultima è l’accusa sgomenta della «rinuncia a Cristo, [della] ribellione a Cristo e, quindi, [della] eliminazione di Dio» e delle conseguenze di questo gesto: conseguenze che vengono osservate nella loro portata sociale e culturale. Seguendo Eliot, Giussani mostra la portata epocale della rinuncia a Cristo perché rinunciando alla centralità dell’Incarnazione, alla «pietra angolare», in nome di un «puro sublime», in nome della «società perfetta» si compie «l’eresia pericolosa», si compie la violenza omicida ultima che nega l’essere umano in quanto tale, nella sua carnale imperfezione. L’arroganza di chi ha abbandonato Cristo si contrappone all’umiltà, «primo carattere di Dio nell’uomo», di chi accetta di essere creatura e di dipendere da un Dio che si è fatto carne.
La scoperta di don Giovanni. Lettura da Miguel Mañara di O. V. Milosz
Il percorso sul Miguel Mañara di Milosz, «testo che ha fatto l’inizio della storia del nostro movimento», si sviluppa su quattro punti: il primo è incentrato sulla figura di Miguel Mañara, emblema del tentativo umano di soddisfare i propri desideri con la forza (la violenza e il successivo grido disperato constatata l’insufficienza di questo tentativo); il secondo riguarda l’incontro con Girolama, ovvero una presenza santa e obbediente, che è capace di un possesso vero e soddisfacente; il terzo è la perdita, dopo tre mesi di matrimonio, di questa presenza (Girolama muore); il quarto è incentrato sull’incontro con l’Abate che rilancia Miguel, malgrado tutta la sua debolezza, nel riconoscere l’Essere che fa tutto, il Destino. In questa parabola emerge dunque la vera consistenza dell’amore e del desiderio umano che possono fiorire e non morire solo nell’obbedienza grata a Dio.
La voce che resiste nelle tenebre. Intorno alle poesie e a un romanzo di Pär Lagerkvist
La lettura prende in considerazione alcune poesie e il romanzo Barabba dell’autore Pär Lagerkvist che Giussani definisce «un vulcano di esigenza di significato» immerso però in una realtà panteisticamente intesa: all’urgenza di significato, Lagerkvist sembra rispondere con una «fede adogmatica, […] senza precisioni, corrispondente al bisogno religioso dell’uomo ma senza rivelazione». In ultimo, analizza Giussani, la realtà e il mistero che Lagerkvist comunica, che pur «introduce qualche vibrazione di vita», è percepita a livello puramente estetico. Ma «accanto alla vibrazione estetica in cui si riverbera l’inevitabile attrattiva e suggestione del mistero delle cose, accanto, anzi incombente, sta l’impietosità del reale […]» come se «il male [fosse] immortale quanto il bene»: finalmente anche la fuga dalla realtà, effugium, è contrastata definitivamente dalla durezza del reale. In questa consapevolezza del dato, Lagerkvist appare escludere l’ipotesi della rivelazione poiché non ne fa cenno in nessuna poesia. Anche il suo personaggio più noto, Barabba, che rimane un grande paradigma dell’uomo moderno, come suggerisce Papini, «è l’uomo che ha salva la vita a opera di Cristo e non sa perché», come a dire che la rivelazione sembra non aver più luogo nell’orizzonte moderno.
Ravvivare l’umano. Su alcune lettere di E. Mounier
Questa lettura ruota attorno ad alcune lettere in cui emerge l’esperienza di dolore dei coniugi Mounier di fronte alla grave e permanente malattia occorsa alla figlioletta Paulette. Mounier, «grande cattolico che ha capito fino in fondo il messaggio cristiano», attraverso la fede vive il miracolo del capovolgimento del limite e la trasformazione di questo evento in grande richiamo: «la fede», commenta Giussani, «è l’ipotesi capace di valorizzare la vita e l’attimo, di trasformare in vita la morte e di rendere potenza creativa quel che sarebbe una sepoltura». Il miracolo di Cristo, come afferma lo stesso Mounier, passa infatti attraverso il corpo offeso di Paulette: «Ho avuto la sensazione, avvicinandomi al suo piccolo letto senza voce, di avvicinarmi a un altare, a qualche luogo sacro dove Dio parlava attraverso un segno».
La libertà e la gratuità. Intorno a due pagine di Charles Péguy
Questa meditazione svolge in quattro punti il tema della libertà a partire da alcuni brani di Charles Péguy. Il primo punto è il richiamo a che cosa è la libertà attraverso la citazione di Péguy: «Una salvezza che non fosse libera, che non fosse, che non venisse da un uomo libero non ci direbbe nulla». Il secondo, «la caratteristica prima della libertà è riconoscere un Altro a cui si appartiene». Il terzo è che la libertà si esprime nel «seguire» Colui al quale apparteniamo. Il quarto, condizione di autenticità nel seguire, è che sia «un tentativo cordiale di immedesimazione con i motivi profondi di ciò che ti viene proposto». Successivamente, partendo da un altro brano di Péguy, viene affrontato il tema della gratuità come seconda caratteristica della libertà; la citazione dell’autore francese - «Mi piace che amino infine, dice Dio, non soltanto liberamente ma come gratuitamente» - introduce il problema che verrà sviscerato in tre punti: la gratuità è stupore e ammirazione che Cristo sia il Mistero che fa tutte le cose; la gratuità è disponibilità alla sua presenza, alla sua compagnia; la gratuità è presentimento del vero e perciò domanda continua alla grande Presenza.
Appendice. Tre film
L’impeto della vita. Sul film Ordet di C. T. Dreyer e la tragedia del moralismo. Sul film Dies irae di C. T. Dreyer
La questione che Giussani sottolinea principalmente, proponendo una lettura di questi film di Dreyer, è la tremenda e cupa opposizione del «moralismo» alla vita. Nel contesto del protestantesimo, e quindi – più o meno sistematicamente – della negazione dell’Incarnazione, è mal tollerato e in alcuni casi escluso violentemente l’impulso alla vita e al significato. Senza la potenza di una Chiesa che si fondi sull’Incarnazione rimane solo l’anelito, confuso e sofferente, di alcuni che però non riescono a resistere alla pressione del potere - «grande è la potenza del male» -, se non per un vago pensiero all’aldilà.
La concretezza del senso religioso. Sul film Dio ha bisogno degli uomini di J. Delannoy
I tre fatti portanti che Giussani individua in questo film sono il senso religioso come il «senso originale di una dipendenza ineluttabile, inestirpabile, ineludibile», il fatto che il senso religioso abbia bisogno dell’uomo, che non possa essere disincarnato, privo di richiami concreti, e che questa necessità di essere presenza è talmente viva che, nonostante tutto il limite della Chiesa, nulla fa ostacolo al passaggio, all’incontro tra Dio e gli uomini: è dunque un film che «esprime una intelligenza del genio cattolico raramente reperibile».