Il volume di Esercizi spirituali è strutturato in tre giornate introdotte dal testo Un volto luminoso; ogni giornata propone una lezione, alcune annotazioni pratiche e alcuni suggerimenti di lettura.
Introduzione. Un volto luminoso
Il punto di partenza proposto per poter vivere il percorso di Esercizi - dopo aver richiamato il passaggio biblico di Mosè che scende dal Sinai raggiante (Es. 34, 29-35) e la parabola del mercante di perle preziose (Mt. 13, 44-46) - è il riconoscimento che «senza Dio di nulla è capace l’uomo»; la considerazione conseguente è dunque che «Egli ci ha messo al mondo per una utilità “sua”, in funzione del suo regno, e non perciò di una utilità definita da noi». La Volontà di Dio, come la “perla” o la “luminosità” del volto di Mosè, va dunque ottenuta e custodita con un distacco da se stessi che occorre che si documenti «nella formalità stessa del nostro comportamento». Senza questa condizione di distacco, questo essere «strappato fuori dalla vita comune non esiste parola chiara di significato». Infatti la tentazione a cui siamo sempre sottoposti è «avere come criterio supremo quello di non rimanere staccati dalla corrente mondana», quando invece «la vera misura nostra è Colui che ci ha creati, e coincide con il significato»: la memoria e il desiderio di permanere a questo livello di significato è la preghiera e cioè «l’albore della resurrezione». Il riverbero storico esistenziale della preghiera intesa nel suo pieno significato è che l’uomo inizia a incidere nella vita sociale, nella vita del «popolo» attraverso la «missione»: missione che dunque «non appartiene al fattore del distacco ma appartiene già al possesso del regno di Dio». Occorre pregare il Signore perché ci mandi il suo Spirito al quale rispondere con una posizione attiva e di lavoro.
Prima giornata. L’avvenimento dell’alleanza
Partendo dalla considerazione che «il significato religioso del mondo, quindi la verità del mondo, è reperibile in una storia che sta dentro la storia dell’uomo», nella prima lezione viene affrontata la storia dell’Alleanza perché ciascuno possa coglierla con efficacia nella propria storia personale. Il Signore ha stabilito la sua alleanza non per i meriti del popolo eletto, ma «per mantenere la parola che il Signore ha giurato» (Deut.) e ciò anche nell’accezione che è «la fedeltà di Dio che ci cambia», e questo è il punto di partenza di qualsiasi coscienza veramente adulta. Il primo tema della lezione è il passaggio metodologico per cui, accorgendoci della nostra povertà, noi non ci troviamo di fronte all’oggetto di un problema, ma «ci troviamo di fronte alla roccia contro cui ci si spacca se non vi ci si costruisce sopra». Il punto paradossale (secondo tema di riflessione) è che «il Dio degli dèi, che non usa parzialità», si mostra nella predilezione: la sua scelta, la sua preferenza non è secondo i nostri criteri di capacità. L’assoluta gratuità della predilezione di Dio porta alla successiva riflessione (terzo tema): «Che cosa ti chiede questo Signore tuo Dio cui appartengono i cieli». La risposta immediata è «che tu tema Dio»; temere significa riconoscere come significato, riconoscere il nesso tra sé e il reale, tra sé e l’altro (e perciò il nesso creativo). Questo timore di Dio diventa una semplice legge del vivere e cioè «seguire gli avvenimenti in cui lui ha preso iniziativa verso di noi» a partire da quello che abbiamo visto; la Memoria, «come sigillo sul braccio, sul cuore», è accorgersi che il problema del rapporto con Dio è l’esser stati presi storicamente, nella Sua storia: è perciò che il criterio per i cristiani non è ciò che si sente, ma ciò che è accaduto. In altri termini, «la luminosità del miracolo nella vita è il distacco dalla propria misura» in modo tale che ci si riconosca sproporzionati alla propria felicità, alla propria libertà, al proprio destino e che si riconosca che «quello che tu produci ti rende schiavo e ti aliena», come nella parabola del figliol prodigo: il vero possesso della vita è dunque solo «nella terra in cui Dio ti sta chiamando». La consapevolezza, la memoria, l’annuncio che l’eterno è «già» entrato nella storia è il compito del popolo di Dio. Nelle annotazioni pratiche Giussani spiega che il «modulo salvifico» è oggettivo e «coincide, non esaurientemente, ma metodologicamente, con la realtà oggettiva che le condizioni inevitabili della nostra vita hanno creato» e «al di fuori della storia di avvenimenti in cui ci siamo trovati e che definisce la strada su cui camminiamo non c’è salvezza». Perciò i condizionamenti, che pure potrebbero far emergere un atteggiamento istintivo e naturalistico, se vissuti nella consapevolezza che sono l’atto di amore di Cristo nei miei confronti, sono la dimensione espressiva del cristiano che rinuncia all’immagine propria, a vivere secondo il proprio parere, per aderire alla propria vocazione.
Seconda giornata. La profezia
Scopo di questa seconda lezione è capire «che l’uomo eletto è profeta» poiché «la coscienza di essere parte dell’Alleanza e definitivamente membra del Corpo di Cristo […] non può realizzarsi se non si prende vivida coscienza di quel che significa profezia»; altrimenti si corre il rischio di una devozione che non diventa «radice del pensiero, del giudizio, dell’affettività». Occorre dunque identificare la propria persona con la realtà profetica e cioè «annunciare davanti» al popolo, dare notizia al popolo dell’Alleanza; se come primo significato è annuncio e grido, occorre anche tener presente che «l’annuncio dell’Avvenimento divino nella storia dell’uomo diventa giudizio su quello che accade e ne mostra le conseguenze» e perciò ne anticipa il futuro. Occorre tener presente che il timore di Dio è sempre in qualche parte profetico. La condizione su cui si fonda la vita profetica, essendo l’uomo debole, è la chiamata di Dio che, attraverso la debolezza umana vissuta consapevolmente, inspira la grandezza. Così il valore esistenziale, storico, umano del profeta emerge nell’annuncio della liberazione: poggiandosi sulla memoria della storia del popolo, dell’avvenimento reale, e non vagamente motivato da un ottimismo, il contenuto profetico porta la certezza incrollabile di una liberazione totale; ciò dà forma ad una presenza sociale non uniformata alla confusione nervosa del mondo: «Una sentinella che sa tacere di fronte al tumulto del mondo ma grida di fronte all’assalto del nemico». È per questo che il «fattore antropologico fondamentale del discorso rivelato è il peccato originale», l’avvertimento del pericolo che viene dal peccato: solo l’umiltà è l’atteggiamento per cui si aderisce all’Annuncio non secondo una propria prudenza. Questa umiltà ha come contenuto fondamentale il riconoscimento che la natura profonda dell’io è quella di essere amati: solo questa «vivida percezione» non permette che si riduca l’annuncio di liberazione a ideologia. A questo rischio di ultima ribellione (secondo il limite umano di ciascuno, secondo il peccato originale) risponde il versetto dell’ottavo capitolo [nel volume “nono” anziché “ottavo”. Ndr] di san Giovanni: «Il Padre mio è sempre con me e io non sono mai solo»; nessuno dunque è lasciato solo e infatti, a meno che colui che è chiamato alla profezia non lasci «radicalmente la via, se non faccia della ribellione il suo progetto sistematico, Dio lo realizza nella fisionomia per cui l’ha fatto». Il volto del profeta è dunque quello del povero che per il mondo non è nessuno; «è una cosa malinconica, triste il vedere non capito anche dentro la comunità cristiana il metodo di Dio», ma «Dio dà l’immagine della vittoria profetica in atto, che splenderà nel futuro, attraverso i “pochi”». Le annotazioni pratiche riguardano, in particolare, l’ascesi nell’obbedienza e la povertà, analizzando quali conseguenze porta la mancanza di povertà: la pretesa (di cose, di denaro, di situazioni), il fastidio per il lavoro e l’invidia per quelli che possono fare ciò che vogliono (i ricchi), l’inquietudine, la mancanza di preghiera, la pretesa di fare ciò che si vuole.
Terza giornata. La nuova ed eterna alleanza
La terza lezione si apre sulla considerazione che «nella Nuova ed eterna Alleanza la profezia è l’annuncio della liberazione avvenuta», e cioè che «l’Emmanuele, il Dio con noi, la Vita si mette insieme all’uomo» e tutto viene da questa Presenza, anche la percezione di essa, anche la fede in essa «sine tuo numine, nihil»: la profezia trova dunque la sua forma stabile nel tempo nuovo, nella memoria che costituisce la psicologia e la coscienza. È per questo che la parola contemplazione mostra la dimensione reale, la profondità adeguata della percezione di quel Fatto. L’avvenimento cristiano non si coglie quindi per astrazione, per concetti, ma per «quell’atteggiamento estatico», quello «stupore» con la realtà, con cui la presenza viene colta dall’uomo; vivere nella percezione di questa presenza (ossia la fede) ha come riverbero lo struggimento per l’amore di Cristo: la Memoria, che ancora in noi viene spesso ridotta a contenuto psichico del passato, ha una valenza, per l’uomo nuovo, di riconoscimento della potenza unificante del tempo e dello spazio, del fatto che è accaduto duemila anni fa, ma che è presenza ora. Il significato di tutto è il legame con l’avvenimento di una Presenza che è il Dio. La vita che si dipana dalla consapevolezza generata dalla Memoria si caratterizza per l’assoluta novità e certezza della esperienza, la vita diventa «gloria», cioè esperienza della novità e della stabilità di Dio, si diviene soggetti nuovi nella società, mandati nel mondo nudi, trasparenti del nostro «essere fatti», testimoni della nostra natura di «essere in funzione di» ossia creature; ma la vita del cristiano diventa anche «dolore» (non nella sua accezione di paura), dolore perché si ama: la coscienza della propria miseria, della propria impotenza, questa dolorosa verità ha la sua fecondità nel perdono che porta una gioia più vera e profonda dell’orgoglio dato dal fatto di non aver mai sbagliato. Solo in questa prospettiva «obbedienza, povertà e verginità», i tre grandi atteggiamenti della tradizione cristiana, possono essere compresi e accettati così da diventare, come conseguenza operativa, un’edificazione, oltre che di sé, dell’umanità. Il modo, il gesto fondamentale del missus, che afferma un nuovo possesso teso al proprio compimento, è il gesto dell’offerta, cioè il riconoscimento che la vera consistenza della mia azione e di tutto è Cristo, il riconoscimento che al fondo della mia vitalità di uomo nuovo c’è Cristo. L’offerta è il gesto «dell’abisso dell’essere umano, è un gesto che esaurisce l’abisso metafisico dell’azione umana»: nell’offerta «diventiamo capaci di vivere i confini sterminati di quel mare che è l’essere e la vita dentro la brevità dell’istante». Le annotazioni pratiche a seguito della terza lezione riguardano l’ascesi e le difficoltà a vivere un cammino dentro la preghiera, quando non viene più intesa come uno sguardo di fede su tutte le cose, ma come pratica separata dalla vita, il formalismo con cui ci si riconosce peccatori che non apre alla passione per la presenza (legata a ciò, la banalizzazione del sacramento della Confessione), la tendenza a preferire l’attivismo al lavoro a cui siamo chiamati e la dimenticanza del mistero della Sua Presenza; spesso sulla scia di queste riduzioni si rinuncia colpevolmente alla vita come comunione e al perdono, generando situazioni che perpetuano, anche nella comunità cristiana, solo la violenza, il possesso egoistico e la grettezza umana. L’Assenza di Memoria, «radice di tutti i malanni della vita vissuta con gli altri», fa ricercare una «solitudine che diventa fuga dalla fatica della comunione con i fratelli».