Il tema delle quattro meditazioni contenute nel libro è la vocazione, vale a dire la vita dell’uomo come risposta alla chiamata di Dio. Per il cristiano, infatti, il rapporto con il Mistero non è fissato o immaginato dall’uomo, ma determinato dalla presenza di Dio che prende iniziativa coinvolgendosi con la vita dell’uomo attraverso un punto preciso, carnale, in un luogo e in un tempo. Il tempio, nel tempo. In chi riconosce il metodo di Dio sorge una nuova morale, che consiste nell’assecondare il fascino dell’incontro con Cristo, nell’accettare la sua imprevedibile ma reale presenza. Come avvenne per Simon Pietro quando, a Cristo che lo interrogava, rispose: «Sì, lo sai che ti amo» (Gv 21,15). Nascono così un sentimento nuovo della vita, una serietà, una responsabilità, una creatività inaspettate; non c’è più nulla di inutile e tutto rivela una positività ultima. Questa fecondità è l’origine di un popolo che diventa protagonista della storia.
Dio: il tempio e il tempo
Il Regno di Cristo è come un grande organismo che si sviluppa secondo la legge dell’elezione: affinché Cristo appaia «tutto in tutti», forma e contenuto di tutte le cose, Dio opera una scelta. Egli ha scelto innanzitutto la Madonna, il primo tempio, la prima casa di Dio nel mondo; poi gli uomini battezzati, la Chiesa, il corpo di Cristo che si dilata nel tempo e nello spazio, diventando presente in ogni ambiente particolare. I terminali capillari in cui la Chiesa si incarna sono le case, le dimore. La casa è il luogo di chi è chiamato a fare famiglia; il monastero, il convento e la casa (dei Memores Domini) sono il luogo di chi è chiamato alla verginità.
Gli uomini e le donne chiamati alla verginità hanno il compito di gridare davanti a tutti, in ogni istante, con la forma stessa della loro vita, che Cristo è l’unica cosa per cui valga la pena vivere. La verginità è il miracolo dei miracoli, perché non c’è nessun miracolo più grande di un uomo che dedichi tutta la sua vita a Cristo, sacrificando tendenze e istinti naturali che Dio ha messo in lui. Per questo l’uomo vergine è profeta: con la forma stessa della propria vita egli obbliga a pensare a Dio.
Affinché realizzi pienamente la propria vocazione profetica, occorre che l’uomo vergine viva la fede più degli altri, che sappia dare ragione più degli altri della propria fede, e che renda la fede forma delle proprie azioni. Gli uomini chiamati da Dio alla verginità sono mandati in tutto il mondo perché ogni loro azione sia offerta a Cristo; essi non rinunciano al mondo, ma cominciano un cammino per il vero possesso del mondo intero, in cui nessun aspetto della realtà è estraneo. La chiamata alla verginità è ultimamente indipendente perfino dai propri errori: anche di fronte al tradimento l’uomo vergine è chiamato a dire «sì» a Cristo, come Simon Pietro.
Riconoscere Cristo
«C’è una meta, ma non una via»: con questa frase Kafka descrive la posizione dell’uomo davanti al Mistero. Si tratta di un’affermazione vera teoricamente, non storicamente. Un fatto storico, infatti, la contraddice: duemila anni fa un uomo, Gesù di Nazareth, ha detto di sé: «Io sono la via». I primi ad incontrarlo sono stati Giovanni e Andrea, sulle rive del lago di Tiberiade. Fu l’incontro con un uomo «eccezionale», un uomo che corrispondeva in modo profondo alle esigenze del loro cuore. Per i primi due, e per tutti quelli che in seguito lo incontrarono, fu semplice riconoscerlo, e fu semplice vivere il rapporto con lui: bastava aderire alla simpatia che Egli faceva nascere, una simpatia profonda simile a quella del bambino con sua madre. Osservare quell’uomo e seguirlo era la moralità che la sua simpatia esigeva. In chi lo seguiva, «costretto» dallo stupore, sorgeva la domanda «chi è costui?»: questo interrogativo ha introdotto nella storia del mondo il problema di Cristo.
L’incontro fatto da Giovanni e Andrea fu comunicato alle loro mogli e agli amici; passò dal I secolo al II, mentre il flusso si ingrossava, ed è giunto fino ai nostri giorni. L’incontro con Cristo non fu ieri, ma è oggi, per ciascuno, e anche oggi il segno della Sua presenza è quell’eccezionalità che corrisponde al cuore. Ciò che non è nella nostra esperienza presente, non esiste.
La formula sintetica per descrivere la figura di Cristo è: «mandato dal Padre». La Sua vita, infatti, si definisce come chiamata del Padre a svolgere una missione. Egli è l’ideale della vita: è l’ideale del modo con cui trattare ogni cosa, vivere l’affetto, concepire tutto. In chi segue Cristo come ideale della vita nasce una gratitudine (perché tutto ciò che l’uomo ha non se l’è dato da sé) e di conseguenza una gratuità, una purità assoluta nel trattare ogni cosa. L’esito è ciò che il Vangelo chiama «il centuplo quaggiù»: una ricchezza, un’intensità, una fecondità in tutto.
C’è una forma di vocazione che decide per una strada impensabile per la mente di chiunque, e costituisce il miracolo dei miracoli: si chiama verginità. In essa il lavoro diventa obbedienza, l’amore alla donna si esalta come segno della perfezione e ogni istante della vita diventa carità: guardare ogni uomo colti nell’animo dalla passione per Cristo, dalla tenerezza per Cristo.
Dio e l’uomo
Con l’incarnazione è entrata nel mondo un’ontologia nuova. Tre sono le sue caratteristiche: Dio, il Mistero che fa tutte le cose, si è coinvolto con l’uomo, si è fatto carne; Egli ha voluto prolungare la Sua presenza attraverso la vita degli uomini chiamati da Lui; nonostante la dimenticanza dell’uomo, la Sua misericordia vince.
Dall’ontologia nuova nasce una moralità nuova: tutta la vita è spesa per affermare Cristo, il «sì» di Pietro è la risposta alla domanda di Cristo («mi ami tu?»), la gloria di Cristo è lo scopo di ogni azione.
L’uomo reso nuovo dalla presenza del Verbo fatto carne ha tre caratteristiche: un sentimento nuovo di sé, dove la definizione dell’io sta nell’essere posseduto da Cristo («la mia vera vita sei Tu»); la densità del presente e l’insoddisfazione inesorabile dell’istante in cui afferra le cose secondo l’istinto; un rispetto inconcepibile verso ogni altro uomo, che nasce dalla consapevolezza della presenza di Cristo in ciascuno.
Nasce così un popolo nuovo, che si segnala per quello che desidera. Quello che ami, infatti, ti definisce.
Nel tempo e nel tempio il soggetto: l’io
Tutto ciò che è stato proposto nelle meditazioni precedenti si attua esistenzialmente nell’«io». Tutto quello che il Padre vuole dall’universo, la gloria di Gesù, è affidato all’esistenza di alcuni uomini.
Si può essere fedeli alla strada della vocazione solo seguendo un uomo vivo. Ma chi è l’uomo vivo? Chi vive la fede, affermando che l’unico scopo della vita è che Cristo sia riconosciuto; chi riconosce Cristo come presenza costitutiva di sé; un uomo umanamente certo, quindi capace di sostenere la speranza. Infine, uomo vivo è colui che sta nel luogo fissato da Dio, dove il suo destino si plasma, si compie.
In secondo luogo non si può essere fedeli se non si genera, se non si è missionari. L’uomo vivo è dunque colui che genera, portando in sé queste caratteristiche. Egli è semplice, cioè riconosce la semplicità e l’oggettività della propria vocazione; è libero dal peccato e dal male commesso, e quindi libero nei rapporti; è capace di gioia, conseguenza della semplicità e della libertà; è desiderabile: quando si è lontani, si ha nostalgia del luogo in cui vive l’uomo vivo.