Il volume ha origine da trascrizioni di lezioni che l’autore tenne fra il 1965 e il 1973 attorno al tema della liturgia come radice della vita cristiana.
Parte prima. La messa
La messa è il gesto più importante della nostra esistenza perché è il gesto della morte e resurrezione di Gesù Cristo; l’assemblea cristiana ha la sua espressione suprema nella messa. Il cambiamento della personalità non ha nessun altro schema se non quello del gesto sacramentale nella unità delle sue parti.
Le parti della messa
Nel nome del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. È la premessa della fede, nell’introduzione la Chiesa ci richiama alla coscienza di ciò in cui consistiamo, è il giudizio di valore su tutta la nostra persona e su tutta la nostra vita.
Fratelli, prima di celebrare i sacri misteri, riconosciamo i nostri peccati. Non c’è niente di più sano che la coscienza realistica delle condizioni in cui si deve svolgere un’azione; il riconoscimento di essere fragili e di essere peccatori permette di ristabilire senza menzogna il giudizio ultimo che Cristo è tutto.
La parola di Dio. La proclamazione della parola di Dio (con il brano dell’Antico Testamento, l’Epistola, il Vangelo) ci rende consapevoli di essere peccatori. Solo attraverso questa contrizione reale si può cogliere il richiamo profondo della parola di Dio, il richiamo alla fede. Purtroppo, questo richiamo viene ascoltato con enorme distacco; ma quando la Parola di Dio illumina la nostra vita, accompagnandola con la consapevolezza della nostra sproporzione, avvertiamo il «dolore sano» che ci spinge ad essere migliori ovvero, come dice San Paolo, «la tristezza secondo Dio». La parola di Dio converte, muta il significato della vita di tutti i giorni.
Offertorio. È quel gesto a cui siamo «spinti» dalla Parola di Dio; illuminati dalla Parola di Dio vorremmo che tutta la nostra vita diventasse di Cristo. L’offertorio è il momento in cui, con la nostra libertà, sostenuti dalle letture, entriamo nel «gioco» di Dio. Condizione per comprendere questo gesto è la consapevolezza di essere parte del mistero di Cristo, nella Chiesa.
Consacrazione. Il sacerdote nella consacrazione chiede a Dio di «rendere veri» il pane e il vino e attraverso di essi «i rapporti con gli amici, con la moglie, con il marito, i colleghi»: veri e pieni di fede, cioè come Dio li vuole. Il centro della messa è la preghiera che «tutto diventi corpo e sangue di Cristo», tutto diventi «gesto di Cristo».
Padre nostro. Alla fine della consacrazione il Padre Nostro è la preghiera con cui Gesù ci insegna che tutte le nostre azioni hanno un solo scopo: che venga il Suo Regno, che tutto quel che facciamo entri nel disegno di Dio. Il nostro cambiamento avverrà «proporzionalmente alla nostra capacità di appoggiarci davvero a questo fulcro, anche se rimarremo peccatori». «Venga il Tuo regno» coincide dunque con «liberaci dal male», cioè iniziare a vivere in modo tale che «il peccato non diventi una prigione».
Concedi benigno la pace ai nostri giorni. La pace è la conseguenza della fede poiché la pace è l’esito della liberazione dal peccato e ciò è possibile solo per la misericordia di Dio. L’abbandono alla Misericordia rende «la vita passata novità e tutto, anche il male, inizia a cooperare al bene». Questa pace fraterna, originata dalla fede nella misericordia di Dio, si struttura secondo tre fattori: La non mormorazione; La non ira; La non chiusura del cuore.
Parte seconda. Tempi liturgici e festività
Avvento. Il tempo dell’Avvento è il tempo dell’attesa dell’uomo in cui Dio inizia ad annunziarsi come mistero; pertanto, è il tempo dell’Antico Testamento. Il tempo liturgico dell’Avvento essendo l’inizio del cammino richiama però anche al termine, allo scopo della strada e perciò è anche il tempo in cui inizia la consapevolezza che la storia e l’esistenza hanno significato nella Sua venuta. Il tema unico dell’Avvento è «Lui che viene»; «la coscienza dell’imminenza della Sua venuta, la vigilanza, la vita vissuta nella coscienza di sé come attesa». Attesa paziente che rende liberi da tutto ma nello stesso tempo presenti in tutto.
Natale. Il Natale è il tempo della realtà nuova, della nuova presenza: è la certezza, annunciata dall’attesa, che diventa oggettiva. La prospettiva dell’incarnazione è assimilare noi alla Sua Divinità. È dunque la festa del Padre, che genera, che è movente di tutto, ed è la festa del Figlio che, nell’ubbidienza e nella semplicità del bambino, vuole la Volontà del Padre. Il supremo richiamo del Mistero del Natale è il porsi, nel mondo, dell’obbedienza fino al sacrificio, fino alla Croce che è annunciata dall’incarnazione stessa. Il compito del cristiano, dunque, non è rivoluzionare le strutture, ma, facendosi compagno agli uomini, comunicare l’annuncio della salvezza.
Quaresima. La liturgia della Quaresima è la manifestazione della salvezza attraverso «Gesù Cristo che domina l’uomo, la natura, il cosmo, il mondo e la storia». Gesù Cristo ha dei contorni ormai precisi ed evidentemente porta una misura nuova nel mondo; questa misura nuova è testimoniata dai Vangeli della Samaritana, del cieco nato, di Lazzaro: Gesù Cristo signore dell’universo. È l’accento dell’Epifania che si impone nelle strade, che contesta, che si oppone alla mentalità e al potere comune. È dunque per il cristiano il tempo della conversione, non più il tempo dell’attesa ultima e vaga, non più il tempo di una gioia senza responsabilità per l’annuncio appena dato: la novità della Quaresima è l’esigenza di una nostra risposta, il miracolo di Gesù Cristo nella sua maturità si propone e attira la nostra persona al punto da trasformarci, al punto che inizia ad assimilarci a Lui. Gesù Cristo ci pretende, ci chiede l’adesione alla Sua persona, ci chiede il livello radicale della fede e della carità, ovvero la maturità. Questa adesione porta al presentimento della fine, all’anticipazione di ciò che accadrà, all’attesa della Sua seconda venuta e comprende che la realizzazione dei tempi passa attraverso la morte e resurrezione, comprende che condizione della resurrezione è la morte. La parvenza del fallimento, della morte, alla luce della fede, diventano passaggio per la Sua seconda venuta: «le cose sono grevi, ma noi le portiamo, perché siamo fatti come Cristo, il gigante che percorre la strada».
Pasqua. La Pasqua è la vittoria di Cristo, la sua resurrezione, e in ciò sta la risposta all’ansia fondamentale del cuore dell’uomo; nel tempo Pasquale si realizza definitivamente l’attesa dell’uomo e pertanto in questo «annuncio definitivo» della resurrezione di Cristo, di cui l’uomo è reso capace per grazia, consiste la vera novità del nostro atteggiamento: il discorso cristiano, irriducibile ad una promozione sociale e civile e dunque a un umanesimo, è sostanzialmente la testimonianza del fatto che Cristo ha combattuto contro la morte ed ha vinto. Nella Pasqua Gesù Cristo emerge come «giudice inappellabile» poiché è l’unico che ha vinto la morte, ha vinto la radice di peccato che porta alla morte; il luogo generato da questo annuncio, in cui viene detto «il fondamento unitario del mondo» è la Chiesa, struttura visibile del corpo di Cristo, in cui si realizza la comunione come unità impensabile tra noi. La Pasqua dà forma all’impegno principale ovvero «di tutto capire e vivere la connessione con il fondamento che è Cristo risorto da morte».
Ascensione. Nell’ascensione si rende chiaro che la nostra vocazione cristiana non diventa autentica «se non attraverso l’assenza delle manifestazioni della potenza di Cristo secondo la nostra attesa»: l’ascensione è dunque l’inizio della Pentecoste poiché l’ascensione è il passaggio, definito «secondo la storia di salvezza che il Padre ha fissato», per la realizzazione della Sua verità definitiva, e cioè quella di essere il Signore di tutte le cose, e per la realizzazione della verità dell’uomo che, nella tristezza della separazione, sente l’attaccamento a Cristo. Il cielo non è un «al di là» ma è il livello ultimo delle cose; Cristo ascendendo non è salito sopra tutte le cose ma è sceso nella profondità delle cose. L’ascensione è il mistero della trasfigurazione di tutto e di tutte le nostre cose: solo con l’ascensione è iniziata la possibilità di trasformare realmente la nostra vita.
Pentecoste. Lo Spirito Santo è il principio del vedere Dio, del rendersi esperienza di Dio perché è il principio della conoscenza del Padre e del Figlio: «In quel giorno conoscerete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi», «Egli vi insegnerà ogni cosa e vi farà ricordare tutto quello che io vi ho detto» (Gv 14, 16-26). Lo Spirito Santo ci dona quella certezza, che non si origina nelle forze dell’uomo, che resiste nell’aridità e nella tentazione e che corrobora, consola e rende possibile la gioia. Lo Spirito Santo nella Pentecoste ci segna col suo sigillo trasformandoci a tal punto che con san Paolo possiamo dire «sovrabbondo di gioia in mezzo alle tribolazioni» perché lo Spirito è la «caparra delle nostre eredità». Lo Spirito dona la vera speranza che si fonda su una cosa di cui già possiedo il principio.
Trinità. È il mistero rivelato che è all’origine e alla fine di tutto; è la sorgente della grazia che stabilisce la vecchia e nuova Alleanza; è la sorgente della carità, che insegna il riconoscimento del proprio niente e della propria consistenza in un Altro; è il punto che, se contemplato, fa cadere tutte le barriere umane e fa cessare il personalismo. La Grazia e la Carità della Trinità si comunicano all’uomo storicamente, nella storia, per sciogliere la «glacialità, l’inerzia, l’irrigidimento» dell’uomo nell’obbedienza e nell’amore a Gesù Cristo.